venerdì 11 novembre 2011

Il divorzio facile e il Grande Semplificatore

Basta un click e il matrimonio non c’è più. Con l’aiuto di un computer e di una connessione Internet, standosene comodamente seduti in casa propria, moglie e marito potranno mettere la parola fine alla loro vita insieme. L’idea è del governo britannico del “conservatore” David Cameron: dopo mesi di consultazioni, il ministero della giustizia ha messo a punto una proposta che prevede la possibilità di divorziare on line, facendo a meno dell’avvocato e senza passare dal tribunale.
Ma non è finita qui: i solerti funzionari di Sua Maestà vogliono mettere on line un servizio che si chiamerà “divorce information hub”, in modo da rendere facilmente disponibili tutte le notizie che servono per divorziare. Per la serie: se lo conosci, non lo eviti.
Sembra che lo scopo dell’intera pensata sia anzitutto economico: fare in modo che la gente impari a divorziare da sola, senza intasare le corti di giustizia, gravando sulla spesa pubblica. Ovviamente, nulla viene detto intorno ai costi prodotti nella società dal divorzio, dalla necessità di andare a vivere in case diverse, dal bisogno di andare a lavorare tutti e due, dagli effetti psicologici e morali sulla prole. Un bel pacchetto di conseguenze non proprio a “costo zero”.
La prima osservazione è che anche i conservatori, come le mezze stagioni, non sono più quelli di una volta, e anzi, sono addirittura del tutto scomparsi: Cameron è un Giano bifronte che nei giorni pari difende la famiglia e l’identità occidentale, e nei giorni dispari promuove il divorzio ultra rapido.
In secondo luogo, questo aneddoto inglese simboleggia bene una ricorrente caratteristica delle società in cui viviamo: la crescente semplificazione delle procedure che consentono di fare il male.
Quando la nostra era ancora una civiltà cristiana, gli uomini peccavano e commettevano delitti. Ma per farlo, erano disposti a fare fatica, a sfidare la disapprovazione della comunità e a rischiare la punizione dello stato o della Chiesa. Con l’avvento della modernità e della società relativista, il male deve diventare facile, sicuro e gratuito. E lo stato deve investire tempo e denaro per aiutare i cittadini a peccare in prima classe, senza sudare. Ed ecco arrivare l’aborto legale, la pillola del giorno dopo, la pillola dei sei giorni dopo, la pillola del mese dopo, l’eutanasia che ti raggiunge per posta con un comodo kit. E anche il divorzio segue questa discesa verso l’abisso: prima lo si legalizza, ma per ottenerlo devi tribolare un pochino; poi i tempi si accorciano; e poi si azzerano, sostituendo ai timbri e alle carte bollate la tastiera del Pc.
Difficile immaginare una società più cupa e decadente della nostra nella quale trionfa la banalità del male, e nella quale si afferma in maniera prepotente quel “diritto al disonore” di cui parla Dostoevskij: bisogna insegnare a tutta la società che essa ha un vero e proprio diritto a fare il male, a sbagliare, a errare, con la benedizione delle leggi.
Chi sta dietro a questo gigantesco progetto per il “male facile”? Ma è ovvio: il Grande Semplificatore che non si riposa mai. E che si industria, come il Berlicche di Lewis, a trovare ogni giorno un sistema più immediato per indurre l’uomo a compiere il male. Ovviamente, il tutto deve essere coperto dal manto rassicurante della civiltà e dal velo pietoso del “male minore”, concetto scivoloso che però tanto fascino esercita pure sui cattolici. Devono divorziare? Beh, ma allora tanto vale che possano farlo in fretta e senza fatica. Appunto. E così, Berlicche si frega soddisfatto le zampe.

(Fonte: Mario Palmaro, La Bussola Quotidiana, 9 novembre 2011


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