venerdì 25 novembre 2011

“Stop per un anno alle omelie nelle chiese”

Qualche tempo fa avevo buttato giù degli appunti per un articolo semi-serio dopo essere stato a messa e aver sofferto durante l’omelia. L’inizio della celebrazione era stato molto bello, eravamo entrati in un bel crescendo verso il momento centrale; ma quindici minuti e passa di omelia, forse non allo stesso grado di intensità, mi avevano fatto sperimentare un processo inverso.
Avevo scritto quello che troverete più sotto, con l’intenzione di non pubblicarlo; uno sfogo destinato al cassetto, anzi, al “file” dei pezzi mai pubblicati. Poi qualche giorno fa mi è cascata sotto gli occhi una notizia di agenzia, protagonista il Presidente del pontificio Consiglio per la Cultura, biblista di chiarissima fama, inventore del “Cortile dei gentili”, e mi sono detto: allora….
Il cardinale Gianfranco Ravasi invitato, nella sua veste di biblista e intellettuale, ad aprire, alla Pontificia Università Gregoriana, un corso sulla parola, affermava:
''La parola è in sofferenza. Anche per la comunità ecclesiale, la Chiesa e la sua comunicazione. La parola è tradita e umiliata''. Anche dal pulpito. Ravasi chiama in causa direttamente i sacerdoti. Perché ''spesso le predicazioni sono così incolori, insapori, inodori da essere irrilevanti''. Invece ''bisogna ritrovare la parola che 'offende', ferisce, inquieta, giudica'', la ''parola sana, autentica che lascia il segno''. E non dimenticarsi che oggi, piaccia o no, chi ascolta ''e' figlio della tv e di internet''.
E ancora: Ravasi ricorre a Voltaire e Montesquieu e dice con loro che ''l'eloquenza sacra è come la spada di Carlo Magno, lunga e piatta: quello che non sa darti in profondità te lo da' in lunghezza''. Il tono del cardinale è leggero, ma tagliente. ''Il sacerdote non deve accettare che la parola sia umiliata. E' chiaro che la capacità di parlare è anche, in parte, dote naturale, ma poi' c'è la formazione, l'aspetto pedagogico, l'attrezzatura tecnica di cui dotarsi. E questo oggi manca nei seminari''. Per finire: “Umberto Eco stima che oggi i giovani usino solo 800 parole. Ciò impone a chi parla essenzialità, incisività, narrazione, colore”.
Allora mi sono fatto coraggio, e ho tirato fuori il mio appello; che spero sia formalmente corretto, perché non ho esperienza nel campo; è la prima volta che scrivo a un papa.
“Santità, mi permetto di rivolgerLe un appello; scherzoso, ma fino a un certo punto solamente. Riguarda le omelie. Quelle che sentiamo, ogni domenica, andando a messa.
È un appello che in realtà contiene diversi suggerimenti, proposte, idee; e come si conviene nel rivolgersi a Lei, in tutta umiltà, naturalmente.
La prima idea è un po’ radicale. Proclamare un periodo (decida Lei la durata) di digiuno omiletico. Vale a dire: stabilire che per un anno nelle chiese (esclusi ovviamente il Papa e i vescovi) non vengano pronunciate omelie. Non mi chieda spiegazioni o ragioni. Non voglio offendere i sentimenti (buoni) di nessuno. Chieda spiegazioni, se vuole, a Giulio Andreotti, che – se non ricordo male – cerca(va) di andare a messa molto presto di mattina, proprio per non ascoltare omelie. Io credo che se l’omelia fosse sostituita da un breve periodo di raccoglimento e di meditazione delle parole appena udite nelle Letture potrebbe essere benefico per tutti.
Secondo suggerimento; questo, ovviamente scherzoso. Obbligare i sacerdoti a frequentare un corso di giornalismo, e in particolare di giornalismo di agenzia, o televisivo. Ci è stato detto più volte, durante la nostra ormai lunga frequentazione di redazioni, che in cinquanta righe si può descrivere la storia di una vita. Possibile che non sia possibile scrivere, nello stesso spazio, una riflessione sul Vangelo del giorno?
Terza possibilità (anche questa scherzosa, però….): chiedere alla Congregazione apposita di emanare un documento in cui si stabilisca tassativamente che il tempo dedicato all’omelia non deve superare i cinque minuti. Un santo, o un padre della Chiesa, disse un giorno: “nei primi cinque minuti parla Dio, negli altri cinque minuti parla l'uomo, nei restanti cinque minuti e più parla il diavolo”. Propendo a credere che in realtà dopo i primi cinque minuti da molti pulpiti continui a parlare l’uomo; e purtroppo non tutti sono alla Sua altezza, nello scrivere e pronunciare i discorsi. E l’esperienza ci fa toccare con mano – senza colpa di nessuno, i sacerdoti sono animati dai migliori sentimenti, e pieni di santo entusiasmo – che un’omelia che si dilunga, si perde, divaga, tocca tanti punti diversi spesso non è di aiuto a mantenere la concentrazione e la tensione spirituale creata dalle Letture. Anzi. Naturalmente sarebbero esclusi il Papa, i cardinali, i Patriarchi e gli arcivescovi metropoliti. Su vescovi e abati si può discutere….”.
Speriamo che qualcuno glielo faccia leggere.

(Fonte: Marco Tosatti, Vatican Insider, 22 novembre 2011)


1 commento:

Paolo ha detto...

Concordo,in modo decisamente più "violento" ho scritto le stesse cose