venerdì 25 novembre 2011

Protestantesimo e modernismo

Nell’enciclica Pascendi S. Pio X collega il modernismo al protestantesimo. Per quale motivo? Se noi consideriamo quelli che furono gli intenti di Lutero, bisogna dire che egli, per sua espressa dichiarazione, non intese tanto essere “moderno”, quanto piuttosto mettere o rimettere in evidenza la verità del Vangelo, secondo lui oscurata o falsificata dal cattolicesimo medioevale, il quale avrebbe aggiunto alla Parola di Dio idee, credenze, usanze, riti, pratiche e tradizioni spuri e meramente umani - potremmo dire farisaici -, per i quali l’uomo pretende di glorificare se stesso davanti a Dio sostituendo la gloria delle opere e dei meriti dell’uomo alla gloria, alla grazia ed alla misericordia che vengono solo da Dio.
Lutero ha quindi inteso liberare il Vangelo e il costume cristiano da queste che egli considerava aggiunte illegittime, scorie, ipocrisie e falsificazioni, per ritrovare la pura essenza o sostanza del messaggio cristiano in piena aderenza alla Sacra Scrittura. Egli credette quindi con ciò di recuperare le fonti, le sorgenti genuine ed originarie del cristianesimo, che secondo lui ai suoi tempi erano state inquinate o soffocate da secoli di false concezioni e tradizioni, delle quali era responsabile il papato e tutta la struttura ecclesiastica, dottrinale e comportamentale che faceva capo a lui.
Egli bensì sapeva bene che caratteristica del Nuovo Testamento è il presentarsi come annuncio di novità salvifica, frutto di quello Spirito che rinnova la faccia della terra. Quindi Lutero non era estraneo all’idea del progresso umano, morale e spirituale, che così profondamente caratterizza l’anima di tutta la Scrittura, progresso peraltro da intendere non tanto come rottura col passato - salvo che si tratti di rompere col peccato o con avanzi del passato -, quanto piuttosto di passaggio dal bene al meglio nonché rafforzamento, crescita ed avanzamento di valori perenni ricevuti da Dio. La metafora del “camminare nella verità” è uno dei temi fondamentali dell’etica giovannea, mentre S. Paolo usa altre espressioni, come quella dell’aumento della luce del giorno che si avvicina o del rafforzarsi nella propria vocazione o del passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo.
La categoria del “moderno” è certamente implicita nella Scrittura sotto i temi del rinnovamento e del progresso. Essa appare esplicitamente in S.Tommaso, il quale mette a confronto gli antiqui, che sarebbero i filosofi pagani, con i moderni, che sono i teologi del suo tempo. L’istanza della “modernità” cresce con i secoli seguenti: nel sec.XIV Guglielmo di Ockham è chiamato il venerabilis Inceptor; nel sec.XV nasce la cosiddetta “devotio moderna” soprattutto nei paesi fiamminghi con Ruijsbroek, l’opera anonima La Teologia tedesca e l’Imitazione di Cristo, una spiritualità individualistica di tipo riflessivo ed interioristico, la quale tende a minimizzare le strutture oggettive della Chiesa, ed a sostituire il realismo e l’interesse teologico medioevale di tipo contemplativo con uno sguardo rivolto alla coscienza e all’io concreto, che pur sempre, per adesso, si misura sulla volontà di Dio. Ma con i secoli seguenti questa importanza data all’io diventerà sempre più pervasiva sino a cancellare completamente, nei sec. XIX e XX, con l’ateismo e il panteismo, l’interesse teologico. S.Agostino lo aveva previsto: amor sui usque ad contemptum Dei.
Lutero è sulla scia di questa “modernità”, anche se, come ho detto, egli resta profondamente religioso e nel suo pensiero questa categoria non esiste esplicitamente. Essa tuttavia è sottintesa dalla sua passione per il rinnovamento della testimonianza cristiana e la volontà di recuperare il novum evangelico. Inoltre, ad accentuare questi spunti “modernistici”, è noto come in Lutero sia molto carente la sensibilità per la Sacra Tradizione, da lui semplicisticamente ed ingiustamente equiparata alle tradizioni umane, contingenti e caduche della Chiesa. Per lui la divina rivelazione sorge dalla sola Scriptura e non dalla Tradizione.
Tuttavia non dobbiamo dimenticare che in Lutero la Tradizione è in qualche modo sottintesa, benchè deformata, nella sua passione per la predicazione della Parola di Dio. E cosa è la Tradizione se non conservazione e trasmissione della Parola? Il guaio è che Lutero dimentica che questa trasmissione non avviene semplicemente tra teologi, biblisti e profeti, ma anzitutto per mezzo della catena apostolica, cosa che Lutero dimentica completamente col suo disprezzo per il sacramento dell’Ordine e quindi dell’Episcopato.
Questi germi di modernismo presenti in Lutero fruttificheranno nel protestantesimo dei secoli seguenti, in quanto la teologia protestante, accortasi dell’importanza della filosofia così disprezzata da Lutero, salirà sul carro della cosiddetta “filosofia moderna” di Cartesio e postcartesiani, trovando, dopo Ockham, nel soggettivismo idealista cartesiano una buona interpretazione del soggettivismo di Lutero.
In tal modo il protestantesimo, soprattutto a cominciare dai secc.XVII e XVIII, avverte se stesso sempre più come “moderno” rispetto al vecchiume medioevale e ci tiene ad esserlo, soprattutto in relazione al progresso degli studi biblici, i quali però appaiono sempre più ispirati non alla fede già propria di Lutero nella verità assoluta della Bibbia in quanto Parola di un Dio trascendente superiore alla ragione, ma alla convinzione della divinità della stessa ragione del soggetto individuale. Da qui, sempre sulla linea del “libero esame” luterano, il sorgere di una critica biblica, ispirata a Spinoza e Reimarus, su su sino a Lessing, Schleiermacher, Harnack, Wellhausen e Bultmann, che vedeva nella Scrittura, anche se si affettava di credere ancora in Dio, nulla di più che un testo letterario come qualunque altro, totalmente sottoposto al giudizio inappellabile del metodo storico-critico.
A questo punto si comprende molto bene il matrimonio di luteranesimo e modernismo denunciato da S. Pio X. Indubbiamente Pio X non esaminò a fondo la possibilità che il metodo storico-critico elaborato dagli studiosi protestanti potesse riservare qualche aspetto accettabile dai cattolici. Egli fu invece - e così esigevano i tempi - preoccupato soprattutto di porre un argine all’invasione di spirito protestante (per non dir di peggio) nell’area del cattolicesimo. E il suo energico intervento resta più che mai attuale ed utile. Solo negli anni successivi iniziarono nel mondo cattolico i primi tentativi, per esempio ad opera del Servo di Dio il biblista domenicano Padre Joseph Lagrange, di recuperare gli elementi validi di quel metodo, per realizzare anche in campo cattolico una sana modernità.
Come è noto l’opera del Lagrange non fu immediatamente compresa dal S. Pio X e dal Maestro Generale dell’Ordine, il Beato Giacinto Cormier (anche tra Santi non sempre ci si intende!), ma poi Papa Sarto, notando il grande spirito di obbedienza e di umiltà nel dotto Domenicano, apparentemente rivoluzionario, ma in realtà rispettoso della Tradizione, gli dette campo libero, sicché a questo grande e santo esegeta della Parola di Dio - simile in ciò ai Santi Padri e Dottori della Chiesa - va il merito di aver preparato cinquant’anni prima i progressi dell’esegesi cattolica promossi dal Concilio Vaticano II e codificati nel documento della Commissione Biblica “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” del 1993 dedicato appunto all’esegesi della Sacra Scrittura.
Per essere moderni non è necessario essere né modernisti né protestanti, con tutto il rispetto per i valori esistenti anche in questi grandi ed importanti movimenti spirituali e culturali. Il cattolico, come persona privata, fallibile e limitato, fosse anche il Papa, avrà da imparare, all’occorrenza, anche da quei movimenti - ecco l’ecumenismo -, ma il cattolicesimo, come pienezza della verità rivelata per mezzo della Chiesa da Gesù Cristo, non ha nulla da imparare ma anzi molto da correggere in quei movimenti i quali, per quanto conservino elementi di cristianesimo, sono ben lungi dal conservarne la pienezza e l’autenticità.

(Fonte: P. Giovanni Cavalcoli, Riscossa Cristiana, 16 novembre 2011)


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