venerdì 16 marzo 2012

Se il maschio ok è quello gay. Alcune considerazioni postume sull’otto marzo

Il pensiero di un maschio
Otto Marzo, festa della donna. La data fu scelta a Mosca, il 14 giugno 1921, nel corso della Seconda Conferenza delle Donne Comuniste.
Era la prima volta che la "Giornata Internazionale delle Donne", proclamata dalla socialista tedesca Clara Zetkin nel 1910, trovava una data unitaria. L'otto marzo fu scelto in ricordo del «giorno della prima manifestazione delle operaie di Pietroburgo contro lo zarismo» (Moscou. Organe du III Congrès de l'Internationale Communiste, 5 giugno 1921, cit. in Tilde Capomazza, Marisa Ombra, 8 marzo. Storie, miti, riti della giornata internazionale della donna, Utopia, Roma 1987, p. 61). Tuttavia sarebbe stato difficile convincere le donne di tutto il mondo a celebrare la «prima manifestazione delle operaie di Pietroburgo contro lo zarismo»; così si scelse di celebrare un crimine capitalista che ebbe come vittime le donne: il rogo di numerose donne chiuse in un palazzo a New York per costringerle a lavorare nonostante la proclamazione di uno sciopero. La strage di donne compiuta in nome del capitalismo era sufficientemente coinvolgente da essere associata alla festa proclamata dalla Seconda Conferenza delle Donne Comuniste. Salvo un piccolo particolare: è una bufala. Nessun rogo, nessun capitalista assetato di sangue femminile, nessuna donna morta bruciata a New York. La storia era completamente inventata. Si è trattato semplicemente di un ottimo esempio di propaganda comunista (chi non ci crede può verificare sul seguente testo, scritto da due militanti femministe e comuniste: T. Capomazza, M. Ombra, 8 marzo. Storie, miti, riti della giornata internazionale della donna, op. cit.).
Ma tant'è: la festa continua. La mimosa (scelta come simbolo da Rita Montagnana, compagna di Togliatti, nel 1946), non più impugnata dalle donne come una bandiera, viene oggi regalata loro da uomini galanti e cortesi, secondo il più inveterato copione sessista.
I cortei femministi stentano, ma in compenso si moltiplicano le serate nelle quali le donne abiurano la loro femminilità e scimmiottano il peggio degli uomini fingendo entusiasmo per spogliarelli maschili. Del resto, come aveva osservato Emanuele Samek Lodovici, «[...] il modello ideale di donna esaltato dalle femministe [...] è un modello con caratteristiche maschili» (Metamorfosi della gnosi, Ares, Milano 1991, p. 164). Quali migliori conferme potrebbe trovare il concetto di «eterogenesi dei fini» di Augusto del Noce (cfr. Il problema dell'ateismo, Il Mulino, Bologna 1964)?
Ma l'importante è festeggiare l'otto marzo, continuare ad alimentare lo schema del complotto sessista, della lotta tra i sessi sullo schema della lotta tra le classi economiche; non con l'obiettivo di un mondo senza classi, bensì senza sessi. Tesi, antitesi, sintesi, come insegnava il "vecchio Hegel". Per raggiungere questo obiettivo il nemico da abbattere non è il capitalismo, ma l'uomo, anzi: l'uomo etero, come scrive Massimo Gramellini, su La Stampa (citando una sua amica): «il mondo avido e violento di voi maschi etero ha miseramente fallito, ora tocca a noi donne e ai gay costruirne uno più umano». Il «maschio etero» è «avido e violento», esattamente come il capitalista e il borghese di qualche decennio fa. La novità è che ora il compito di «costruire un mondo più umano» spetta non solo alle donne, ma anche ai gay. Che c'entrano i gay?
Evidentemente, per l'amica di Gramellini, i gay sono maschi che non hanno i difetti (avidità e violenza, per esempio), dei "maschi etero". Insomma: l'unico maschio buono è il maschio gay, potremmo dire parafrasando il generale Philip Sheridan. Un maschio che non finge semplicemente di ascoltare, annuendo opportunamente, gli interminabili e tortuosi ragionamenti femminili, ma che è sinceramente interessato a ciò che le donne dicono, e partecipa ai discorsi con trasporto emotivo; che è felice di accompagnarle a fare shopping e di consigliarle criticamente negli acquisti (non limitandosi a un "Certo, cara, ti sta benissimo" ripetuto invariabilmente a ogni prova); che non esce di casa con accostamenti cromatici improbabili ma cura il suo aspetto esteriore con la stessa attenzione delle donne; eccetera eccetera. Tanto l'idea di fondo è sempre la stessa: le differenze tra i sessi sono ingiustizie e vanno eliminate. (Cfr. Roberto Marchesini, La bussola quotidiana, 7 marzo 2012)
 
Il pensiero di una donna.
Chi siamo? Chi vogliamo essere? Ieri mi sono posta queste domande ed ho deciso di fare un esperimento. Che idea si farebbe uno qualsiasi che non sapesse nulla degli uomini, delle donne, degli adolescenti di oggi e volesse avere due dritte da un quotidiano a caso, diciamo Repubblica? Curioso, come esperimento. Interessanti gli esiti. Andiamo ad incominciare…
Il giustizialista: quello che la pagliuzza, nell’occhio, ce l’ha (sempre e solo) il vicino
Si parla di tanti uomini, su Repubblica del 7 marzo. Dalla seconda pagina in poi, quelle dedicate a “politica e giustizia”, tra un processo e l’altro, un’accusa e l’altra, un verbale e l’altro, un’intercettazione e l’altra, un’indiscrezione e l’altra, una delazione e l’altra, eccoli gli assolutamente-integralmente-buoni (i magistrati), gli assolutamente-integralmente-cattivi (gli inquisiti) e gli assolutamente-integralmente-giusti (i giornalisti della testata, of course): uomini che mettono la legalità e il rispetto delle regole prima e al di sopra di tutti i valori. Anche della vita. E pazienza se iniziano e finiscono i processi in redazione, prima che nelle aule di tribunale. Intanto puntano l’indice e battono i petti degli altri per i sua culpa che - si sa – fan vendere molte copie; se poi c’è da fare un passo indietro o una smentita, se l’imputato risulterà innocente gli dedicheranno (forse) un trafiletto in basso da qualche parte per una smentita (forse). Importante garantirsi il titolone giustizialista in prima pagina, con incorporato lo sputtanamento dell’inquisito. Essere i primi e spararla grossa. Tanto basta.

Uomo + uomo, donna + donna. E vissero felici e contenti
A pagina 45 – 46 – 47 Vittorio Zucconi e Stefano Rodotà combattono. Eccoli in prima linea con un servizione: “La battaglia dei gay per il diritto alla felicità”. Zucconi ritorna con la memoria al 2004, quando negli Stati Uniti d’America è iniziata la legalizzazione dei matrimoni omosessuali, dove “la lancetta della cultura civile aveva fato uno scatto in avanti. Era avanzata dal medioevo della perversione satanica all’età moderna dei diritti civili” e aggiunge che “quello che appariva intollerabile, impensabile, ignobile agli americani adulti nel 1969 è diventato ragionevole, accettabile, addirittura giusto per i loro figli”. Otto, gli Stati in cui lì i matrimoni gay sono legali. “In Italia, invece, tutto è ancora fermo”. Ci mette del suo Rodotà (padre) nel pezzo dal titolo “La dignità e la giustizia cancellate dall’ipocrisia”.Vuoi mettere Città del Messico, che ha già dato alle coppie gay sposate la possibilità di adottare?
Io sono mia (già da un pezzo) e ora viaggio da sola
Inizia a pagina 31 il servizio firmato da Cinzia Sasso, che scrive: “Non è difficile immaginare che le ragazze di oggi, libere e indipendenti, continuano a dire: io viaggio da sola”. E così la giornalista informa che il numero di turiste che fanno vacanza in solitaria è cresciuto del 70% in dieci anni. Pronto il vademecum: “le guide, i libri, i siti e le App, gli hotel, le mete per ragazze con la valigia”. Un esempio? “In Armenia si viaggia con una accompagnatrice italiana sui sentieri dei monasteri e delle chiese. Un viaggio pensato per la ‘sensibilità femminile’”. Cari maschi, alla larga da Armenia, chiese e monasteri: son roba da donne!
La femminista e la violenza
A pagina 54 l’immancabile servizio sul femminismo (ce n’è più d’uno anche su Repubblica di oggi, 8 marzo, obviously). L’articolo, a firma di Simonetta Fiori, riprende la provocazione della filosofa Luisa Muraro lanciata sul numero cento della rivista Via Dogana, storico laboratorio del “pensiero della differenza”. La studiosa si chiede quando possiamo dire sì all’uso della forza, e distingue tra la violenza “giusta” e quella “stupida, inconcludente”. E’ vero: nell’articolo vengono riportate molte repliche che liquidano la violenza come “rispecchiamento di bellicose logiche maschili”, ma – Murari docet - : “al limite la violenza”, che “non va esclusa a priori”.
Le donne e la Resistenza. Chi l’ha fatta e chi la fa ogni giorno ancora
Di un’altra donna parla Concita de Gregorio a pagina 53, nell’articolo “La storia ritrovata. Il romanzo della Resistenza scritto da una ragazza d’oggi”. La giornalista recensisce il libro di Paola Soriga Dove finisce Roma e scrive che “muove al pensiero e chissà, forse all’azione, lascia – chiusa l’ultima pagina – l’eco di un desiderio di fare, di provarci di nuovo, proprio noi, proprio ora, e allora andiamo, forza, che cosa stiamo aspettando, ricominciamo”. Resistere! Resistere! Resistere! A chi? a che cosa? O forse (conoscendo i trascorsi, mi pare più “nelle corde” della giornalista): contro chi? contro che cosa? Non è dato sapere, ma il nemico (?) è sempre in agguato e dunque è bene essere pronti, anzi pronte.
Usare i maschi per l’indispensabile: il liquido seminale
Ci mette del suo il tuttologo Augias. Monica Pepe gli scrive, perplessa, di un film ambientato in Francia e ispirato ad una storia accaduta negli Stati Uniti: 17 adolescenti decidono di diventare madri come atto di ribellione contro la famiglia e la noia che le circonda. Fanno quel che vogliono del loro corpo. La signora commenta che “usare i maschi per l’indispensabile, riducendoli a liquido seminale mentre si parla del concepimento di un essere umano è un’immagine lesiva della dignità degli uomini tanto quelle immagini di donne usate nelle pubblicità sessiste che fanno arrabbiare molte di noi”. Le risponde nonno-Corrado, ricordando l’ondata femminista degli anni Settanta e “il diritto di affermare e mettere in pratica una possibile ‘monogenitorialità’”. “Conosco donne che ridussero allora il maschio a liquido seminale o poco più scegliendo di allevare da sole il bambino così concepito. I risultati che conosco non sono stati cattivi; l’impegno doppio di seguire il bambino e contemporaneamente lavorare, tutto da sole, era sorretto (giudico dall’esterno) da convincimenti forti. Si trattava in quei casi di rompere i tabù di una società patriarcale arretrata qual era allora non solo quella italiana”. Poco sopra aveva detto che all’epoca (anni Settanta) la partenogenesi rimaneva utopica. Sia contento, Augias: le donne da allora si sono modernizzate. Volendo, ormai fan (quasi) tutto da sé, e comunque senza il bisogno non solo dell’amore, ma nemmeno del contatto di un uomo.
What’s wrong with the teenage mind?
Cerca di spiegarlo Massimo Ammaniti “che c’è di sbagliato nella mente degli adolescenti”, riprendendo la tesi di Alison Gopnik, professore di Psicologia all’Università di Berkeley ed autrice del sopracitato articolo sul Wall Street Journal: in sostanza la pubertà, per varie ragioni, viene raggiunta prima, mentre l’ingresso nell’età adulta avviene più tardi e ciò crea una situazione insostenibile, per una “sfasatura fra cervello emotivo e razionale”. Il giornalista aggiunge che “i genitori sono sempre più incapaci di mettere dei confini, di mantenere delle regole, di proporsi come figure in grado di guidare ma anche di imporsi (…) ma forse i bambini e gli adolescenti vivono in un mondo troppo protetto ed ovattato”.
Bene, mi dico mentre leggo: forse finalmente anche Repubblica avverte la necessità di una responsabilità educativa da parte degli adulti… Macché! Ecco finalmente (?) una proposta intelligente (?) affinché i giovani “maturino e canalizzino le spinte emozionali”: “organizzare nelle scuole, oltre alle attività didattiche, servizi civili come dipingere annualmente la scuola (…) In questo modo i ragazzi si sentirebbero più responsabili”. No comment.

Ciliegina (o…banana) sulla torta
Lo sapevate che “ci sono ricette e sapori ‘uomo’ e ‘donna’, ma le identità e le differenze di genere hanno mille sfumature” e che esistono, dunque, “menù di genere” e cioè “piatti-lei” e “piatti-lui”? Parola di Licia Granello (Repubblica di oggi, 8 marzo).
Ricapitolando…
Chi siamo? Chi vogliamo essere? Che idea si farebbe uno qualsiasi che non sapesse nulla degli uomini, delle donne, degli adolescenti di oggi e volesse avere due dritte da un quotidiano a caso, diciamo Repubblica?
Capirebbe questo: gli uomini “veri” sono giustizialisti all’ennesima potenza e non fanno sconti se non a se medesimi; la felicità è garantita, ma solo se un uomo può sposare un altro uomo e una donna un’altra donna (sì, perché – precisa Zucconi nel pezzo sopra ricordato – “negli Stati Uniti i matrimoni santificati continuano, ormai stabilmente e da decenni, a fallire, sfiorando il 50%”); buona cosa se le donne si avvieranno alla partenogenesi. Ancora: gli adolescenti sono senza speranza, perché è praticamente appurato che in testa han qualcosa che non va. E il mondo? Il presente? Il futuro? Uno schifo. Lotta dura e senza paura. “Viulenza” anche, se serve. Più l’imperativo categorico buono per tutte le stagioni: “Resistere! Resistere! Resistere!”.
Conclusioni
Ho chiuso Repubblica e mi son guardata in giro. Ho pensato ai miei 48 anni, agli incontri che hanno segnato la mia vita, alle persone che conosco, alle cose che ho letto e studiato.
Gli uomini e le donne non sono questo! Non sono questi i ragazzi a cui insegno da 25 anni! Non siamo “noi” quelli raccontati da questi articoli!
Guardatevi intorno anche voi. Provate a chiedere a chi conoscete se vede se stesso o se stessa in queste pagine; se davvero si vorrebbe “così”.
Che uomo e che donna vogliono farci diventare “questi”?
Donne con donne, uomini con uomini, donne contro uomini, uomini contro donne, adulti contro giovani, giovani contro adulti… Tutti contro tutti, forse? Questa è l’idea? Portarci ad essere soli, a mangiare da soli, a far vacanza da soli, a far figli da soli? Soli e fintamente liberi?
Soli, geneticamente modificati e facilmente manipolabili dal potere. Questo vogliono. Non prevalebunt! (Cfr. Saro Luisella, Cultura Cattolica, 8 marzo 2012)



(Postato da MaLa, 11 marzo 2012)
 

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