sabato 3 marzo 2012

A bocce ferme: il brutto di Sanremo

Il Festival di Sanremo ha confermato se stesso: uno spettacolo con qualche luce e molte ombre, al di là del caso-Celentano. La RAI ha ancora una volta gestito molto male l’evento. Non in termini di share, ovviamente, ma in termini di servizio pubblico. Il buon gusto, il rispetto, la valorizzazione della nostra cultura anche musicale, hanno lasciato il posto alla provocazione, all’autolesionismo, alla maleducazione, al provincialismo.
Prendete la gag iniziale di Paolo e Luca (due poveracci che non si capisce perché debbano avere tanta visibilità) e pensate al fatto che il Festival va in eurovisione. Poi chiedetevi: cosa cavolo deve interessare al mondo intero dei problemi di un Vauro (ma chi è?), un Santoro, una Dandini, tutta gente che campava su Berlusconi, ora che lui non c’è più, e sono ripiombati nel nulla?
Cosa ci “azzecca” tutto questo con una gara canora, con uno spettacolo-vetrina del nostro mondo musicale? Cosa c’entrano le volgarità, le parolacce, le piccole squallide vendette politiche camuffate da satira? E’ stato un inizio “vecchio”, gretto, meschino, perfino noioso. E’ stata la solita presa a calci dell’Italia. E poi ci lamentiamo se facciamo nel mondo la figura dei peracottai, come si dice dalle mie parti.
Vogliamo parlare delle slinguate della coreografia di apertura della serata finale? In questo caso il servizio pubblico ha toccato il fondo. Sulle note di All you need is love, in prima serata, coi bambini davanti alla TV, è stato del tutto imbarazzante, ancora una volta gratuito e stupidamente provocatorio, tutto quel baciarsi sulla bocca. Come se l’amore fosse la slinguata davanti a milioni di spettatori. C’erano tanti altri modi di rappresentare l’amore, se proprio si voleva farlo. Modi più alti, più artistici, perfino, più umani. E per fortuna che le telecamere ci hanno evitato anche il bacio lesbico, che, pure, sembra ci sia stato.
E poi la gara. La gara che non c’è. Perché ha vinto chi si sapeva che doveva vincere. Perché da qualche anno ci ritroviamo ai primi posti dei ragazzetti, non dei grandi cantanti con una carriera consolidata. Dei ragazzetti che hanno fatto il loro bravo cursus honorum da Amici o a X Factor, o, nel caso del quindicenne ridicolo che ha vinto la sezione giovani, a Io canto con Gerry Scotti. Non c’è gara perché non c’è giuria. C’è il televoto, gestito dai call-centre, contro i quali, per ammissione dello stesso conduttore del festival, non si può fare assolutamente niente, se non raccomandarsi, inutilmente, all’onestà. Quella del festival è una gara fittizia, un’impalcatura, una finzione. I destini sono già scritti e chi arriva primo poi scompare (chi se lo ricorda più Valerio Scanu?). Sono anni che non si assiste più ad una competizione seria, reale.
Poi ci sono i misteri. Il primo è proprio quello che ha portato all’esclusione di un pezzo come Grande mistero, cantato da Irene Fornaciari. Testo ottimo, musica giusta, interpretazione grintosa e davvero professionale. Era un pezzo da primi posti, visto quello che c’era in gara. Invece è stato escluso subito, lasciando in gioco delle nullità pazzesche (compresa la canzone vincitrice). Altro mistero è un Finardi che non si piazza nemmeno tra i primi sei. Eppure aveva una canzone molto bella, molto profonda, molto poetica. Se non altro potevano portargli un po’ di rispetto, come hanno fatto l’anno scorso con Vecchioni. Ma in questo caso la spiegazione forse c’è: questioni di parrocchia politica e di argomento cantato. Vuoi mettere un Vecchioni dichiaratamente di sinistra che parla degli studenti incazzati nell’era Berlusconi, con un Finardi che ti parla di Dio?
Infine ritorniamo su Celentano, o meglio, su questa storia dell’ospite che deve per forza venire a portare scompiglio. Quest’anno Celentano, gli anni scorsi Benigni. E’ roba vecchia, trita e ritrita, in ultima analisi stupida. Fermarsi quaranta minuti a sentire la predica di qualcuno è diventato un clichè degli ultimi anni (dell’era Mazzi, direi, che per fortuna è giunta alla fine), un concerto di parole, con pochissimo spazio riservato alla musica. Sono solo parole, ha cantato, male, Noemi. Forse potrebbe essere proprio questo il giudizio che affossa uno spettacolo brutto come il Festival di Sanremo. Reso brutto dall’intellettualismo snob degli autori, dalla volontà di “lanciare messaggi”, dalla formula alla Vieni via con me.
Queste le ombre, le molte ombre. Le luci? La musica, qualche canzone, certe interpretazioni molto professionali, i duetti, la rivalutazione della musica italiana d’autore. Basterebbe veramente poco per fare del Festival di Sanremo un evento importante, di peso, degno di una televisione nazionale. Invece ci costringono a pagare il canone e ci propinano un sacco di immondizia. Contenti solo se gli indici di ascolto crescono, magari perché Belen, molto furbescamente, si è divertita ad esibire la farfallina multicolore. C’è crisi. Davvero.

(MaLa, da: Gianluca Zappa, La Cittadella, 19 febbraio 2012)


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