sabato 10 marzo 2012

Andrea Riccardi di Sant’Egidio: una biografia non “autorizzata”. Parte seconda.

Sant’Egidio “ad intra”: un memoriale
Questa volta le notizie le attingiamo direttamente dall’interno della Comunità. Per la prima volta, cioè, un ex membro importante decide di parlare, sollevando ancora di più il velo sulla vita interna della comunità. È un uomo che ne ha fatto parte per più di 25 anni, dalla fase nascente fino al Natale del 2000: Giuseppe, 47 anni, insegnante di liceo a Roma [il nome è di comodo, ma la sua identità vera, con tanto di nome, cognome e indirizzo, appare negli atti del processo, da cui sono state attinte le note che seguono].
Si è sposato nel 1987 con Giuliana [altro nome di comodo], anch'essa appartenente alla comunità, dalla quale si è poi separato; quest'anno ha presentato presso il tribunale diocesano di Roma la richiesta di riconoscimento di nullità del matrimonio. Ha addotto come motivo della nullità la «costrizione». E ha allegato alla richiesta un memoriale che non è soltanto la prima critica pubblica che un suo ex membro importante ha mai rivolto alla comunità, ma anche l'atto di una causa giudiziaria. L'autore infatti intende mostrare come la costrizione che avrebbe invalidato il suo matrimonio sia parte di un più generale sistema autoritario che governerebbe l'intera comunità di Sant'Egidio.
Ecco alcuni tratti del testo, corredato di titoli redazionali:
Giuliana, la moglie
[...] Entrambi i genitori di Giuliana furono contrariati al vedere che la figlia, avendo cominciato a frequentare la comunità di sant'Egidio, era spesso fuori, non tornava a pranzo e a cena e non passava neppure il Natale in famiglia. Ci furono molte discussioni finché lei, sostenuta dalla comunità, andò via di casa, ospite prima di una amica della comunità e poi di un'altra. Non diceva ai suoi genitori dove abitava e raramente si faceva sentire per telefono. La madre la implorava, ma lei si diceva orgogliosa di aver lasciato la sua famiglia per dedicarsi anima e corpo al servizio della comunità. [...].
La storia di Giuliana non è che una delle tante storie dei membri della comunità di Sant'Egidio, nelle cui famiglie d'origine ha fatto nascere disaccordi, divisioni e inimicizie. A sostegno della rottura con la famiglia di sangue viene citato il Vangelo di Matteo al capo 10: “Sono venuto a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa”.
Fratelli e Sorelle
Per ogni membro di Sant'Egidio, infatti, la vera madre è la comunità. E tutti si considerano tra loro fratelli e sorelle. Ma tra questi vi sono i maggiori e i minori. Fratello o sorella maggiore è chi è da più anni nella comunità e soprattutto ha più autorità nel rispettivo gruppo, in quanto gode dell'apprezzamento dei capi. Ognuno ha un fratello o una sorella a cui fa riferimento, si confida, confessa i propri peccati, racconta i segreti più intimi della propria vita: una sorta di padre o madre spirituale. [...]
Il Fondatore
Sono le parole del fondatore Andrea Riccardi che danno l'impronta alla comunità. Ogni predicazione, ogni discorso del fondatore viene registrato in un video spedito alle varie comunità sparse per l'Italia e nel mondo. Le cassette vengono raccolte in una videoteca e catalogate con cura. Dai discorsi del fondatore derivano le omelie che i vari preti tengono nelle liturgie di quartiere, o i responsabili locali nelle preghiere serali. Quando poi i vari gruppi di cui si compone la comunità si riuniscono, le parole del fondatore vengono di nuovo lette e applicate. Alla luce di esse ognuno confessa davanti agli altri ciò che nella propria vita vede di oscuro e di sbagliato, convinto che il peccato che ha confessato sarà perdonato. L'intervenire così in assemblea vale per lui come una confessione sacramentale: dopo il proprio intervento, se accettato dai responsabili, si sente a posto con la coscienza, riconciliato con Dio e con il mondo ma soprattutto con la comunità. Una preghiera pubblica durante la messa domenicale suggella il pentimento e il desiderio di riscatto. Gli amici più stretti mostrano la loro vicinanza al riconciliato con gesti di affetto.
Tutte queste procedure valgono sia per le comunità italiane che per quelle all'estero. Una o due assemblee ogni anno vengono trasmesse da Roma via satellite in una decina di paesi dove è presente almeno una piccola comunità. [...]
Obbedienza e altre virtù
Nei discorsi del fondatore, tra le virtù più raccomandate ci sono l'umiltà, l'obbedienza, la disponibilità, la fedeltà, la generosità.
A ciascuno viene chiesto conto dell'osservanza di queste virtù. Umiltà al punto da considerarsi sempre figli della comunità, bambini bisognosi delle cure di una madre, mai adulti indipendenti né orgogliosi, poiché ogni azione e parola che viene fatta o detta è per il bene di ciascuno e di tutti. Obbedienza alla comunità e a chi la rappresenta ai massimi livelli perché è obbedienza al Vangelo, a Dio e a chi parla in suo nome e lo annuncia, cioè ai capi e ai fratelli maggiori. Disponibilità e prontezza in ogni momento a rispondere alle esigenze della comunità, senza quell'esitazione che è sintomo di sfiducia. Fedeltà nel servizio, agli appuntamenti liturgici e assembleari. Generosità nel donare tempo, mezzi, denaro e nell'accogliere gli altri nella vita e nelle proprie case.
Il Sacramento della Confessione
In questa atmosfera di rispetto e venerazione per i capi, chi fa da padre spirituale diventa portatore di una autorità sacra e incontestabile, proiezione di quella del fondatore. [...] Don Vincenzo Paglia, l'assistente spirituale della comunità divenuto vescovo nel 2000, ha molto contribuito a rafforzare il ruolo del fratello maggiore. A chi si confessava da lui, prima dell'assoluzione raccomandava due cose; la prima era di formulare una preghiera pubblica durante la messa, la seconda di confidare le cose dette in confessione al fratello maggiore responsabile della sua vita. Ma di fatto, nella comunità, il colloquio con il fratello non si aggiunge alla confessione, semplicemente ne prende il posto. È noto che nella comunità di Sant'Egidio la confessione sacramentale è poco praticata.
Santo e profeta
Al padre spirituale si dice tutto della propria vita ma costui della sua non racconta quasi nulla. [...] Alcuni anni fa uscì un libro intervista del fondatore Andrea Riccardi che fu acquistato da tutti; questo testo rivelò per la prima volta aspetti della sua infanzia e adolescenza nella famiglia d'origine fin lì sconosciuti. Ancora dopo trent'anni passati assieme, la maggior parte dei membri della comunità non sapeva quasi nulla della sua vita.
Un'altra volta furono fatti circolare appunti di discorsi e pensieri che il fondatore avrebbe scritto in giovane età, tra i 18 e i 20 anni. In questi scritti si volle scorgere il seme della futura comunità. E la svelata lungimiranza di quel giovinetto indusse molti a definirlo “santo” e “profeta”.
Studi
Io stesso, in oltre 25 anni di vita in comunità, di padri o madri spirituali ne ho avuti quattro. A costoro ho raccontato tutta la mia vita, il passato, i pensieri, i sogni, le paure, le speranze, gli amori. Sempre sapendo di loro ben poco. [...] Un mio padre spirituale, Fabrizio Nurra, pensò di indirizzare anche il mio percorso universitario. A causa degli impegni in comunità avevo rallentato gli studi e questo succedeva a molti di noi; mi disse quindi di abbandonare la facoltà di medicina alla quale ero iscritto al quarto anno, per passare a quella di biologia, come lui stesso aveva fatto.
Ci furono altri che come me furono obbligati a cambiare facoltà. Due miei amici si erano appena iscritti a scienze politiche, ma il giorno stesso incontrarono il loro responsabile che li costrinse ad annullare immediatamente quell'iscrizione e a immatricolarsi nella facoltà di lettere. Altri furono indotti a intraprendere la scuola per assistenti sociali pur essendo orientati a svolgere professioni tecniche, di cui avevano i diplomi. Altri ancora lasciarono l'università per frequentare corsi per infermieri o per fisioterapisti. Spesso un lavoro veniva abbandonato in cambio di professioni che impegnassero solo una parte della giornata: perché l'altra parte del tempo doveva essere dedicata alle attività della comunità. Un'esponente di rilievo, Mario Marazziti, definì la comunità un insieme di uomini e donne che rinunciano alla propria carriera per la fedeltà al Vangelo e per servire i poveri. [...]
Fidanzamenti
Va sottolineato che i nostri fratelli e sorelle maggiori riferiscono a loro volta tutto di tutti a un coordinatore, anche le cose più intime, e decidono assieme a lui gli indirizzi da seguire nelle scelte di ciascuno, comprese le matrimoniali. Una volta confidai al mio padre spirituale che mi ero innamorato di una ragazza di 18 anni. Mi disse che non era adatta a me perché troppo giovane, mentre sarebbe stato meglio che mi fidanzassi con un'altra, di 23 anni, la quale aveva rivelato alla sua madre spirituale un interesse nei miei confronti. Quest'ultima ragazza a me non piaceva e lasciai cadere la proposta, ma dovetti rinunciare anche alla ragazza di cui ero innamorato.
Conobbi poi colei che sarebbe divenuta mia moglie: frequentavamo lo stesso gruppo e svolgevamo lo stesso servizio. Fu lei a invitarmi a cena e a farmi capire che le interessavo. Seppi poi che lei aveva parlato di me alla nostra comune madre spirituale, Valeria Martano, dalla quale era stata incoraggiata a prendere l'iniziativa. Per un breve periodo, quindi, provai a stare assieme a lei, ma presto la lasciai perché non mi piaceva. Questo rifiuto scatenò contro di me la reazione della nostra madre spirituale che mi rimproverò di aver illuso quella sorella e di averla lasciata senza chiedere preventivamente il suo consenso. E anche in comunità la cosa ebbe strascichi: fui rimproverato in assemblea, criticavano tutto quello che facevo come assistente di anziani, i miei amici mi evitavano. Dovetti ravvedermi e seguire i consigli di chi “ti vuole bene più di tua madre”. Qualche tempo dopo mi fidanzai con la ragazza che era stata prescelta per me.
Durante un convegno nel 1984, furono molte le persone della comunità a parlare esplicitamente di fidanzamenti combinati. Era una prassi comune fidanzarsi con partner indicati dai propri padri e madri spirituali. Alcuni dissero di aver obbedito a un fraterno consiglio o a una amorevole indicazione, altri di aver chiesto una sorta di approvazione per i loro rapporti di coppia.
Coloro che criticarono questa prassi dovettero ritrattare e chiedere publicamente perdono per quello che avevano detto. Furono fatti accorrere i preti della comunità e i colpevoli furono invitati a confessarsi subito. Alcuni, subito dopo quel convegno, uscirono dalla comunità. [...]
Nascite
I più osservanti pianificano con il proprio padre spirituale anche se avere o no un figlio, se farlo subito o dopo qualche anno. Un mio amico rimase addolorato fino alle lacrime, quando la moglie alla quale aveva detto di desiderare un bambino gli rispose che prima doveva consultare la propria madre spirituale. [...]
Alcune coppie in comunità decidono esse stesse di non avere bambini, ma spesso sono i genitori spirituali a non volere che li abbiano e a influire sulle coppie. Di fronte alle perplessità di persone esterne le risposte usuali sono: “ne faremo uno fra qualche anno” o “non ci sono venuti”. Qualche bambino è stato adottato. [...]
Matrimoni
Ritornando alla mia fidanzata, presto rimase incinta, e poco più di due mesi dopo eravamo sposati. In questo breve periodo dovetti vedermela con tutti i miei genitori spirituali vecchi e nuovi, subire i loro rimproveri, sopportare le accuse di immaturità, di incoscienza, di maschilismo. [...]
Nessuno dei nostri fratelli della comunità ci chiese se volevamo sposarci né se eravamo felici di farlo. Al matrimonio riparatore, tre dei quattro testimoni erano nostri padri e madri spirituali, ma erano assenti gran parte dei fratelli fondatori. Il prete che ci sposò è l'attuale rettore dell'Università Urbaniana, monsignor Ambrogio Spreafico, che né ci preparò al sacramento né ci confessò - ed erano anni che non ci confessavamo, io personalmente da almeno quattro. [...]
Non ricordo nella mia vita un giorno più imbarazzante di quello: stavo sposando un donna che non amavo; mi vergognavo di presentarla ai miei familiari; mi sentivo pesare addosso il giudizio della comunità; aspettavo un figlio che non avevo desiderato; il mio futuro era incerto e avevo paura.
La persona più importante della comunità che avevo invitato, Alessandro Zuccari, non venne, e ciò era una evidente punizione agli occhi di tutti. E dopo la cerimonia la mia madre spirituale di allora, Marilena Piazzoni, testimone di nozze, si rifiutò di partecipare al banchetto, nello sconcerto degli altri invitati, perché sosteneva che non l'avevo invitata in modo specifico al pranzo di nozze. [...]
I giorni successivi non attenuarono il mio senso di colpa. Non facemmo nessun viaggio di nozze. Non ricordo nessuno che nella comunità l'abbia fatto. Dopo che ci si sposa, si usa compiere missioni comunitarie all'estero o altri servizi. I problemi nel nostro matrimonio insorsero subito: incomprensioni, incompatibilità caratteriali, diversità di interessi, differenze culturali, disaccordi riguardanti l'affettività e la sessualità. [...]
Ospiti
A settembre ci nasce una figlia, alla quale diamo un nome concordato con i nostri fratelli maggiori, e i problemi diventano tantissimi. [...] Tuttavia la comunità ci chiede subito di ospitare a casa nostra qualche altro fratello o sorella. Dapprima un nostro fratello resta con noi per due o tre mesi, poi due nostre sorelle per altri sei o sette mesi, poi una moglie separata e incinta con un bambino di sei anni per altri quattro anni, infine un altro fratello per un anno intero. Tirando le somme, nei sei anni del nostro matrimonio siamo stati da soli per meno di sei mesi. [...]
Fuorusciti
Fino a qualche anno fa chi lasciava la comunità era pesantemente riprovato. In un primo momento si cercava di riportarlo sulla retta via, ma se l'operazione falliva era messo al bando: “Sia per te come un pagano e un pubblicano” (Mt 18, 17), con tutto ciò che l'abbandono comportava per chi aveva costruito tutta una vita di relazioni dentro la comunità e all'improvviso si ritrovava solo: disagi, sofferenze, depressioni e in alcuni casi persino suicidi.
“Amici”
Inoltre, i racconti dei fuorusciti gettavano discredito sulla comunità. Per questo alcuni anni fa si decise di cambiare strada. Fu creata una sorta di comunità parallela chiamata degli “amici”, nella quale far confluire i dissidenti, tenendoli in qualche modo vicini. Questo piccolo gruppo partecipa ad alcuni incontri della comunità, ma in forma non vincolante, e senza poter accedere agli appuntamenti riservati ai membri a titolo pieno, dei quali non si deve riferire a loro nulla. [...]
Reclute
Per raccogliere nuovi seguaci, negli anni Settanta e Ottanta la comunità agiva soprattutto nelle scuole superiori e nelle borgate, con assemblee e mostre fotografiche sulle attività sociali per bambini e anziani, al termine delle quali si lanciava l'invito a partecipare a una festa. [...] La festa era preparata con molta cura; doveva risultare molto coinvolgente e dar spazio alla spontaneità di ciascuno. Chi era positivamente colpito da un'accoglienza così calorosa ritornava ai successivi appuntamenti, che però non erano altre feste ma incontri di servizio e di preghiera, che man mano legavano il nuovo venuto alla vita della comunità. [...]
A partire dagli anni Novanta però questo metodo ha dato sempre meno frutti ed è stato quasi del tutto abbandonato. Oggi la comunità fa proselitismo tra ragazzi di età sempre più bassa, tra gli 11 e i 14 anni, riuniti sotto l'insegna del “Paese dell'arcobaleno”. Mentre tra gli adulti cerca di far breccia nei quartieri popolari, con piccoli gruppi di 4-8 persone chiamati “Scuole del Vangelo”, che si riuniscono un paio di volte al mese sotto la guida di un membro della comunità. Ai più fedeli frequentatori di questi incontri vengono rivolti inviti sempre più coinvolgenti. [...].
 
Sant'Egidio “ad extra”. La disfatta di Algeri
Come abbiamo visto, punto di forza della sant’Egidio è il suo voler essere operatori di pace nelle zone di guerra o di forti contrasti politici. «Siamo i free lance della diplomazia», dice Andrea Riccardi, fondatore e capo della comunità.
Il primo assaggio fu il Libano, nel 1982. Fecero incontrare a Roma, nei locali di Sant'Egidio, il capo dei drusi Walid Jumblatt e il patriarca melchita Maximos V. Firmarono un accordo a tutela dei cristiani dello Chouf.
Un altro giro di prova lo fecero con Mosca. Nel preparare la visita di Mikhail Gorbaciov a Giovanni Paolo II, nel 1989, l'incaricato speciale sovietico Vadim Zagladin scoprì che gli uomini di Sant'Egidio sapevano aprire molte porte in Vaticano. E fece la spola da loro.
Ma la loro prima, grossa operazione è col Mozambico. In quel paese erano già attivi da anni in progetti di cooperazione. Il segretario del Pci Enrico Berlinguer li aveva raccomandati presso il governo filosovietico di Samora Machel e loro erano riusciti a fare incontrare quest'ultimo col papa, a Roma, nel 1985. Sull'altro fronte, quello della guerriglia, i contatti li teneva invece il vescovo di Beira, Jaime Pedro Gonzalves. Nel giugno del 1990 la svolta. I guerriglieri si dicono pronti a trattare, a patto che il Vaticano e l'Italia facciano da garanti. Immediatamente il Vaticano invia in Mozambico il cardinale Roger Etchegaray e la Farnesina il proprio sottosegretario Mario Raffaelli, socialista. Il governo mozambicano accetta. Come luogo dei negoziati segreti le due parti scelgono Roma, Sant'Egidio. A mediare saranno per la Chiesa il vescovo di Beira e per l'Italia Raffaelli. Più Riccardi e don Matteo Zuppi.
L'accordo è firmato nella sede della comunità il 4 ottobre 1992. Le storie autorizzate di Sant'Egidio sorvolano sull'apporto dato alla riuscita delle trattative dall'inglese Roland Tiny Rowland, presidente della multinazionale Lonrho. Fu lui a fare incontrare per la prima volta, a Gaborone nel Botswana, i due leader rivali Joaquim Chissano e Afonso Dhlakama. Fu lui ad alloggiare in un suo hotel di Maputo, attrezzato a quartier generale, i capi guerriglieri usciti dalla macchia. Nell'ultimissimo round della trattativa romana, Dhlakama minacciò di rompere se Rowland non fosse stato ammesso all'atto finale. Dopo la firma, lui presente, entrambi i contraenti ci tennero a ringraziarlo in forma ufficiale. Ma a Sant'Egidio continuano oggi a definirlo «un avventuriero».
In Africa, altri loro campi d'iniziativa sono il Burundi, il Sudan e l'Algeria. In Burundi, il mediatore numero uno tra gli hutu e i tutsi in guerra è l'ex presidente della Tanzania, Julius Nyerere, ma sia lui che il responsabile americano per la regione dei Laghi, Howard Wolpe, hanno scelto un anno fa i locali romani della comunità come sede d'incontro tra le parti. I negoziati, interrotti a settembre, sono stati finora infruttuosi.
In Sudan, quelli di Sant'Egidio hanno allacciato contatti sia col principale capo dei ribelli, John Garang, sia con l'eminenza grigia del regime islamista di Khartoum, Hassan al-Turabi. Quest'ultimo, quattro anni fa, è andato in Vaticano e ha incontrato il papa. I vescovi e i missionari presenti in Sudan, che considerano Turabi il loro peggior nemico e persecutore, l'hanno presa molto male.
Ma ancor più profonda è la spaccatura intervenuta tra Sant'Egidio e i vescovi dell'Algeria. Prima il vescovo di Orano, Pierre Claverie, poi l'arcivescovo di Algeri, Henri Teissier, hanno criticato aspramente le iniziative diplomatiche promosse dalla comunità tra la fine del 1994 e l'inizio del 1995, sfociate in una piattaforma d'intesa sottoscritta a Roma da un nugolo di partiti d'opposizione, compresi gli estremisti del Fis, Fronte islamico di salvezza. «Sì, gli amici di San'Egidio sono quelli che ci hanno ucciso», ha dichiarato Teissier. I vescovi ritengono inaccettabile che la piattaforma sia stata fatta firmare senza impegnare le parti a troncare uccisioni e stragi, anzi legittimandone i mandanti. Il vescovo di Orano è stato poi assassinato.
Il governo di Algeri ha reagito alle iniziative diplomatiche di Sant'Egidio organizzando in patria campagne di discredito e a Roma premendo sulla segreteria di Stato vaticana. In effetti, la diplomazia ufficiale del papa è anch'essa critica. Contro Sant'Egidio si è espresso anche l'ex segretario generale dell'Onu, Butros Ghali, che pure è loro estimatore.
Il compito di cercare una ricomposizione dei rapporti Italia-Algeria è toccato a Dini. Dini è stato in Algeria, per una visita ufficiale, il 13 luglio 1998. Ecco quanto ha scritto "la Repubblica" (gli altri giornali italiani hanno detto le stesse cose): "Nell´intento di sgombrare il campo da tutti i motivi di ´incomprensione che nell´ultimo paio d´anni avevano bloccato i rapporti tra le due capitali, Dini ha immolato una vittima gradita agli algerini. Si tratta della comunità di Sant´Egidio. Il ministro degli esteri italiano ha promesso che il tentativo della comunità di Trastevere è “ormai abbandonato e non avrà seguiti”. Ha aggiunto che “non ci sarà una diplomazia parallela” e che “non è prevista alcuna iniziativa da quella parte”. In una dichiarazione alla stampa Dini ha poi affermato di non aver mai saputo nulla dell´ostilità algerina nei confronti delle iniziative di Sant´Egidio: “Nessuno me l´aveva detto”. [...] Secondo fonti dell´opposizione algerina e dei petrolieri italiani, [il ministro degli esteri Ahmed] Attaf, durante la visita, aveva chiaramente fatto intendere al nostro ministro che se l´Italia voleva ancora approvvigionarsi di gas algerino, doveva pubblicamente sconfessare le iniziative di Sant´Egidio riguardanti l´Algeria.
Altro campo d'iniziativa della comunità sono i Balcani. Nel Kosovo, hanno ottenuto nel 1996 la firma di un accordo tra serbi e albanesi per la riapertura delle scuole. L'accordo è lontano dall'essere attuato. Ma i diplomatici free lance di Sant'Egidio sono sempre in gran movimento. Capaci di «fornire notizie fresche», dicono, anche a una Madeleine Albright, la segretaria di Stato americana passata a trovarli lo scorso 7 marzo 1998, nei loro locali di Trastevere.
 
La confraternita dei “Disciplinati”
Ma le vacche grasse, per Sant'Egidio, sono finite. La celebre comunità cattolica di Trastevere, festeggia i trent'anni di nascita con grande luccichio di celebrazioni. Intanto, però, il Nobel per la pace è sfumato. Il ministro degli Esteri italiano, Lamberto Dini, li ha scaricati. Il cardinal segretario di Stato, Angelo Sodano, li ha ammoniti in pubblico. Il suo braccio destro in Vaticano, Giovanni Battista Re, li ha torchiati in privato. I cardinaloni amici di una volta girano alla larga. Persino il papa [Giovanni Paolo II] s'è raffreddato con loro.
Questa del papa proprio non se l'aspettavano. Lo stato maggiore di Sant'Egidio, in testa il fondatore e capo supremo Andrea Riccardi, aveva chiesto un incontro solenne con Giovanni Paolo II per la fine di maggio. Ma non solo il papa non ha concesso l'udienza. Gli ha negato anche il messaggio scritto di benedizione per il trentennale: quello che Riccardi contava di leggere dal pulpito nel momento clou della festa, nella basilica di Santa Maria in Trastevere. Se si pensa che cinque anni prima, in occasione del venticinquennale, papa Karol Wojtyla era andato di persona in visita a Sant'Egidio, sprizzando ammirazione, il voltafaccia è di quelli che bruciano.
In Santa Maria in Trastevere, la sera del 20 maggio è andato il cardinal Sodano, il numero uno della diplomazia vaticana. Ma non a consolarli. Nel suo discorso, di fronte a decine di ambasciatori, il segretario di Stato non ha degnato di spendere una parola sulla diplomazia “free lance”, che è stata determinante nel rendere celebre Sant'Egidio nel mondo. Altro che “Onu di Trastevere”. Sant'Egidio si occupi piuttosto delle «opere di carità» che, queste sì, sono la sua vocazione «precipua», ha ammonito il cardinale. Sempre tenendo bassa la cresta. Perché Sant'Egidio non ha inventato niente. Già santa Francesca Romana nel secolo XIV, ha ricordato Sodano, «percorreva Trastevere col suo asinello carico di pane e legna per i più poveri». E prima ancora la diaconessa Olimpia, a Costantinopoli, «dava ogni giorno refezione a più di mille poveri del luogo». Idem san Bernardino da Siena, che «fondò la Compagnia dei Disciplinati per santificarsi nel servizio dei poveri. La Compagnia dei Disciplinati era una comunità di Sant'Egidio dei suoi tempi».
Nome a puntino, questo dei Disciplinati. Perché proprio la disciplina cattolica è il punto debole di Sant'Egidio, agli occhi delle autorità della Chiesa. Pochi giorni dopo il discorso raggelante del cardinal Sodano, Riccardi e i suoi sono stati chiamati a rapporto dall'uomo chiave della macchina di governo vaticana, il sostituto Giovanni Battista Re, capo della seconda sezione della segreteria di Stato. E Re ha detto loro nudo e crudo quello che Sodano non aveva detto in pubblico. Ha loro intimato di non far danno alla diplomazia pontificia e alla stessa Chiesa con iniziative diplomatiche parallele tipo quella fallita in Algeria. Li ha richiamati a rispettare le norme in campo liturgico: in particolare il divieto per i non preti di predicare durante la messa. Li ha richiamati a una vita più virtuosa, facendo capire d'essere al corrente di molte cose della comunità: i matrimoni combinati, i divorzi, la natalità zero, la rottura con le famiglie d'origine, tutte cose non in linea con gli ideali d'una vita cristiana.
Presa la reprimenda, Riccardi e soci non hanno fatto gran che per cambiare. Nelle messe della comunità il capo di Sant'Egidio, che prete non è, continua a tenere le sue omelie, dando a credere agli adepti d'avere il permesso speciale del papa. Sa però che anche un altro movimento cattolico, quello dei neocatecumenali, è sotto tiro per lo stesso motivo. E prima o poi arriverà l'alt. La congregazione vaticana per il culto divino sta studiando di emettere per gli uni e gli altri un richiamo ufficiale all'obbedienza.
Quanto alle stranezze in materia di matrimonio, anche lì niente è cambiato. Però adesso quelli di Sant'Egidio si sentono molto più sotto osservazione. Il fatto, per esempio, che i bambini da loro adottati li allevino in comune come «figli della comunità», senza un padre e una madre stabili, non potrà passar liscio ancora per molto. Per non dire di un altro capitolo che Sant'Egidio fa di tutto per tenere coperto: quello dell'omosessualità.
Uno dei cardinali che li conosce più da vicino, anche perché ha una nipote nella comunità, è Achille Silvestrini. Li ha appoggiati per molti anni. Ma oggi confessa d'essere «seriamente preoccupato» e ritiene urgente e doveroso che la Chiesa «intervenga». Un altro dei sostenitori da sempre di Sant'Egidio è l'arcivescovo di Milano, cardinale Carlo Maria Martini. Che però da qualche mese si irrita quando i giornali lo scrivono. Sia Martini che un altro tradizionale sostenitore di Sant'Egidio, il cardinale di Firenze, Silvano Piovanelli, non si sono fatti vedere in Santa Maria in Trastevere alla messa del trentennale della comunità. Eppure erano entrambi a Roma per l'assemblea della Conferenza episcopale italiana che si teneva in quegli stessi giorni.
Altro grande assente al trentennale, il cardinale vicario del papa e presidente della Cei, Camillo Ruini. Anche Ruini ha a lungo appoggiato Sant'Egidio. A Palermo, nel 1995, agli ultimi stati generali della chiesa italiana, fece sedere Riccardi alla sua destra, al tavolo della presidenza. Adesso non lo rifarebbe più. Il mese scorso ha bocciato la promozione di don Vincenzo Paglia, il più in vista dei preti di Sant'Egidio, a proprio vescovo ausiliare. E ha posto il veto alla nascita a Trento di una facoltà universitaria di scienze religiose, che aveva tra i suoi promotori Riccardi.
Sul versante della diplomazia, circola in Curia una battuta del cardinal Sodano: «La segreteria di Stato ha già due sezioni e una terza non la vuole proprio». La diplomazia parallela di Sant'Egidio non è mai piaciuta in Vaticano. E oggi ancor meno. In Algeria e Tunisia il papa ha nominato nunzio, il 26 maggio, l'ugandese Augustine Kasujja, che come viceambasciatore ad Algeri aveva sempre avversato le iniziative diplomatiche della comunità. E il 10 luglio è stato nominato vescovo di Orano, al posto dell'assassinato Pierre Claverie, Alphonse Georger, già consigliere della nunziatura e braccio destro dell'arcivescovo di Algeri, Henri Teissier, quest'ultimo critico durissimo della comunità romana: «Gli amici di Sant'Egidio sono quelli che ci hanno ucciso».
Anche la Farnesina ha preso le distanze. Il 10 luglio, in visita ad Algeri, il ministro degli Esteri, Dini, ha detto in pubblico che a Sant'Egidio «porta rispetto», ma che «per una diplomazia parallela oggi non ci sono assolutamente le premesse» e iniziative tipo quella messa in atto dalla comunità «non si ripeteranno più».
Ai suoi seguaci, Riccardi va ora dicendo che «dietro gli attacchi a Sant'Egidio c'è l'Eni. Affari di petrolio». Sta di fatto che in una trasmissione sulla comunità andata in onda su Raitre il 26 luglio 1998, a difendere la «diplomazia di popolo» di Sant'Egidio è rimasto Mario Capanna, sessantottino inossidabile. Anche il settimanale “Liberal” continua a dire di loro un gran bene. Don Paglia vi tiene una rubrica.
 
Enigma Sant'Egidio. Era guerra e la chiamavano pace
Khalida Messaoudi, musulmana, vive ad Algeri e ha fondato l´associazione Rachda contro l´oppressione delle donne e per la riforma del codice della famiglia. Condannata a morte dagli estremisti islamici nel 1993, è sfuggita a due attentati. È deputata in parlamento dal 1997.
Ecco, testuale, che cosa ha detto in un´intervista al settimanale “Tempi” del 1 novembre 2001, a proposito della comunità di Sant'Egidio: «A tutt´oggi il terrorismo ha fatto 130 mila morti in Algeria e causato danni per 20 miliardi di dollari. Nel 1995, l´anno del negoziato di Sant´Egidio, i gruppi armati legati al Fronte islamico di salvezza seminavano le città di auto-bomba, e nella sola Algeri uccidevano più di 100 persone al giorno. Ma Sant´Egidio ha accettato che a rappresentare il Fis a Roma fosse Anwar Haddam, un membro del Gia, il gruppo armato più sanguinario. Quando ho fatto notare questa cosa ad un esponente di Sant´Egidio, costui ha affermato di non essere a conoscenza del fatto. Eppure Haddam ha dichiarato la sua appartenenza al Gia anche nei giorni del negoziato di Roma, rispondendo ad interviste televisive. Mentre lui era ancora nella capitale italiana, il Gia ha compiuto un attentato con un autobomba causando 120 morti e numerosi feriti e mutilati: Haddam ha rivendicato l´attentato per conto del Gia. E sapete cosa ha dichiarato al momento di firmare gli accordi di Roma? “Firmiamo, ma non deporremo le armi”. Per tutto questo io ritengo che la comunità di Sant´Egidio si è coperta di vergogna. Ha fatto la stessa cosa che Daladier e Chamberlain fecero a Monaco con Hitler, e voi sapete che gli accordi di Monaco non hanno restituito la pace e l´onore all´Europa, ma la guerra e la vergogna: Sant´Egidio si è comportata alla stessa maniera. Oggi vorrei fare una domanda ai signori di Sant´Egidio: perché non propongono agli americani di concludere un accordo con Bin Laden? Ma posso rispondermi da sola. E la risposta è che Sant´Egidio considera le vittime americane più importanti di quelle algerine, e questo non posso perdonarlo. Come algerina, non perdonerò a Sant´Egidio di aver fatto mercato col sangue degli algerini. E in seguito hanno fatto anche di peggio: per anni hanno continuato a ripetere che in Algeria non sono gli islamisti che uccidono. Ebbene, quando discolpate un criminale, voi diventate suo complice».
Difficile pensare a un´accusa più aspra. Rivolta proprio a quella comunità di Sant´Egidio che è così celebrata in tutto il mondo per le sue iniziative di pace.
Tanto più che le critiche di Khalida Messaoudi non sono isolate. In Algeria ne hanno pronunciate di identiche, negli anni passati, i vescovi di Orano, Pierre Claverie, e di Algeri, Henri Teissier. «Sì, gli amici di Sant'Egidio sono quelli che ci hanno ucciso», ha detto più volte Teissier. E quello di Orano è stato poi assassinato per davvero, per mano di quei terroristi che Sant´Egidio, a detta dei vescovi, aveva legittimato.
Oggi, in tempi di guerra mondiale, con l´Occidente e la cristianità sfidate dall´islamismo, l´enigma della comunità di Sant´Egidio si ripropone più intero che mai.
Chi sono? Che cosa fanno? Che cosa vogliono?
Sono domande che anche molti vescovi si sono posti, lo scorso ottobre, durante il sinodo tenuto in Vaticano.
Perché proprio nei primi giorni del sinodo la comunità di Sant´Egidio ha organizzato a Roma un meeting islamo-cristiano tutto all´insegna del “dialogo”. Al quale hanno preso parte musulmani eminenti: dal gran muftì d´Egitto, Nasser Farid Wasel, allo sceicco Yusuf al-Qaradawi, direttore del centro di teologia islamica del Qatar, all´ideologo del movimento oltranzista dei Fratelli musulmani, l´egiziano Ezzedin Ibrahim. Più due cardinali di spicco della corrente progressista: Roger Etchegaray e Carlo Maria Martini. I quali hanno ascoltato impassibili le sfuriate antioccidentali e antiebraiche dei loro dotti interlocutori, senza replicare. «Se questo è il dialogo», è stata la reazione di molti in sinodo, «è l´ora di dire basta».
 
Arabi, ebrei e cardinali: Incidenti di dialogo
Ma vediamo più nel particolare i retroscena di questo infausto “dialogo” promosso e caldeggiato dalla comunità di Sant’Egidio.
Il 10 marzo 2002, sull´importante quotidiano saudita “al-Riyadh”, è apparso l´articolo di una docente universitaria, Umayna al-Jalahma, che accusava gli ebrei di mescolare sangue di bambini musulmani e cristiani ai dolci delle loro festività religiose.
«Il sangue viene fatto uscire dai corpi dei bambini con estrema lentezza provocando un immenso dolore, che procura ai vampiri ebrei estremo piacere», vi scriveva tra l´altro al-Jalahma.
Per concludere che una simile pratica giustifica la persecuzione degli ebrei nel corso della storia. Fin qui niente di nuovo. L´antiebraismo è moneta corrente nei media arabi. Proprio questa settimana, la seguitissima tv araba satellitare al-Jazeera ha dedicato un intero talk show ai “Protocolli dei Savi di Sion”: un falso prodotto in Russia all´inizio del Novecento per dar corpo all´antisemitismo più estremo. Nuovo è invece quello che è accaduto poi. Nuovo per gli standard dell´Arabia Saudita.
Dieci giorni dopo l´uscita dell´articolo, “al-Riyadh” l´ha ritrattato. Con un editoriale del suo direttore, Turki al-Sudeiri.
Nell´editoriale, al-Sudeiri ha scritto: che l´articolo è stato pubblicato in sua assenza; che non avrebbe mai dovuto essere stampato perché «privo di fondamento»; che «non è giusto che le nostre differenti vedute con un Ariel Sharon siano incentivo a propagare sentimenti di odio contro tutti gli ebrei».
Questa inusuale ritrattazione conferma l´interesse dell´Arabia Saudita a far da pivot di una pace tra israeliani e palestinesi. Il 27 e il 28 marzo 2002 si riunisce a Beirut la Lega Araba. E lì la monarchia saudita conta di raccogliere un largo consenso al piano d´accordo ventilato in febbraio dal suo principe della corona, Abdullah bin Abdul Aziz al-Saud. Il piano è molto generico. Riconosce comunque il pari diritto ad esistere dei due Stati di Israele e della Palestina.
Ma in più c´è un secondo interesse. La monarchia saudita vuol migliorare la sua immagine di fronte agli Stati Uniti e al mondo. Da patria di Osama bin Laden e del terrore islamista, vuole accreditarsi con un profilo più moderato, sia politico che religioso.
Impresa non facile. Come ha mostrato un incidente scoppiato il 13 marzo 2002 a Roma a un convegno interreligioso organizzato da una università cattolica americana, la Sacred Hearth University di Fairfield, Connecticut, e ospitato dal Centro Dionysia per le Arti e le Culture. Sul tema: “Preghiera e liturgia, impariamo dall´altro. Giudaismo, cattolicesimo, islam”.
Subito dopo un intervento tenuto dal cardinale Carlo Maria Martini, ha svolto la sua relazione il segretario generale dell´Associazione musulmani italiani, Sheikh Abdul Hadi Palazzi.
E questi ha attaccato in termini ultimativi, fino a definirla «eretica», la corrente musulmana wahhabita imperante in Arabia Saudita: «centrale del terrore» dell´islamismo mondiale.
Non solo. Hadi Palazzi ha criticato severamente anche il cardinal Martini. Gli ha rimproverato «d´essersi seduto allo stesso tavolo col principale ideologo musulmano del terrorismo suicida, Yusuf al-Qaradawi, senza provare vergogna».
L´allusione era al summit cristiano-islamico organizzato in pompa magna a Roma il 3-4 ottobre 2001 dalla comunità di Sant´Egidio. Nel corso del quale al-Qaradawi e altri esponenti islamisti si produssero in sfuriate antioccidentali e antiebraiche fianco a fianco con i cardinali Martini e Roger Etchegaray.
Al-Qaradawi non è saudita. È egiziano e vive nel Qatar. È ritenuto la mente più influente della principale corrente fondamentalista islamica, quella dei Fratelli musulmani.
Ma alle autorità ecclesiastiche i capi di sant´Egidio, organizzatori "solerti" del meeting, l´avevano presentato come “luminare della teologia” e “uomo di dialogo”.
Anche Hadi Palazzi era stato invitato al meeting. Ma appena saputo della presenza di al-Qaradawi, aveva rifiutato di prendervi parte. E aveva pubblicamente denunciato gli equivoci di quel dialogo.
[Ecco la nota di G. Galeazzi che commenta questo fatto su La Stampa del 2 ottobre 2001: «Scambio di accuse in Campidoglio tra leaders di movimenti islamici. Uno scontro durissimo alla vigilia dell’appello interreligioso per la pace. Protagonisti della clamorosa lite il segretario dell’Associazione musulmani italiani, Abdul Hadi Palazzi e il presidente dell’Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia (Ucoi), Mohamed Nouri Dachan. Al centro della violenta disputa lo studioso Iusuf Qaradawi, preside di una facoltà universitaria nel Qatar. Tutto è iniziato quando Abdul Hadi, pochi minuti prima dell’inizio della cerimonia, nell’aula Giulio Cesare ha gridato la sua indignazione perché domani la comunità cattolica di Sant’Egidio ha invitato a Roma, ad un incontro sul dialogo con l’Islam, oltre al sindaco Walter Veltroni, l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e il presidente del Senato Marcello Pera, anche l’«integralista» Qaradawi. «È stata dichiarata persona non gradita dagli Stati Uniti - ha protestato Hadi - ed ora viene chiamato a parlare di pace in Italia, pur essendo l’ideologo del terrorismo. Iusuf Qaradawi è l’istigatore della strategia suicida: ha persino definito i terroristi dei martiri del mondo islamico». Secondo il segretario dell’Associazione musulmani italiani, l’invito rivolto dalla comunità ecclesiale di Sant’Egidio (che da domani al Centro Congressi di Porta Castello metterà a confronto per due giorni i vertici religiosi cristiani e musulmani) all’ideologo dei kamikaze stragisti è uno schiaffo in faccia alle vittime di New York e Washington. «Occorre tolleranza zero - ha affermato in Campidoglio Abdul Hadi, che rappresenta 1.500 membri con cittadinanza italiana e altrettanti non italiani - nei confronti di chi compie atti terroristici e, soprattutto, di chi il terrorismo lo appoggia. Iusuf Qaradawi è un criminale, un assassino che deve fare la fine di Milosevic e, a causa della sua inopportuna presenza, noi diserteremo il summit islamo-cristiano di Sant’Egidio»].
Anni prima un altro influente maestro dell´islamismo estremista, il sudanese Hassan al-Turabi, era stato addirittura portato dalla SantEgidio in udienza privata da Giovanni Paolo II, sempre all´insegna del dialogo. Era il 1994. E al-Turabi, il Khomeini del Sudan, ospitava in quel periodo Osama bin Laden, com'era noto a tutti. Ultimamente la stella di al-Turabi si è appannata. Ma a quel tempo (dal 1996 al 2000) è stato in assoluto l´ideologo islamista più presente sulla tv al-Jazeera. Che ha sede nel Qatar. Ove insegna al-Qaradawi.
(continua…)

(MaLa, da: Sandro Magister, www.chiesa, 2003)


2 commenti:

Maurizio ha detto...

qui il problema grosso sono le pressioni psicologiche subite per decenni dai membri che se non si adeguavano alle leggi del capo e dei suoi fratelli, venivano costantemente derisi e presi in giro; parlo di star male psicologicamente, ricatti affettivi, tentativi di suicidio. altro che vaffanculo, previdentemente gira con la scorta 24 su 24;
chi ci restituisce una vita persa come surperschiavi dietro alle ambizioni di un barboso supponente arrivista che non ho mai visto pulire un sedere o "fare" qualcosa: noi tutti a correre dalla mattina alla sera rinunciando alla vita normale al servizio di un dio e di un profeta che servono solo per il compostaggio.

Unknown ha detto...

Conoscendo personalmente il loro caro Don Matteo Maria Zuppi e conoscendo anche come è diventato prete, non mi stupisce l'articolo, anzi forse inpreziosisce il miei pensieri su di lui .....