venerdì 16 marzo 2012

Demenza o conformismo? Ora sui “matrimoni” tra omosessuali entra in scena anche la cassazione

Apprendiamo con gioia che anche la magistratura (poteva mancare?) mostra la sua ansia di unirsi al coro – dettato da demenza o da ansia del gregge, o da entrambe le cose assieme – dei laudatores delle “nozze” tra omosessuali. Con sentenza n. 4184, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di una coppia di invertiti italiani che, contratto “matrimonio” all'estero, ne avevano chiesto la trascrizione sui registri di stato civile del comune di residenza. Poiché il Comune aveva rifiutato la trascrizione, i due sposini avevano fatto ricorso alla magistratura, che lo aveva sempre respinto, poiché la nostra legislazione non prevede quel mix di obbrobrio e umorismo da caserma che è il “matrimonio” tra persone dello stesso sesso. Ugualmente ha fatto la Cassazione, e fin qui, nulla da dire. Non poteva fare altro.
Però anche i magistrati sono uomini, sono uomini italiani, e come tali anche loro sono afflitti da uno dei più perniciosi vizi nazionali, ossia la ricerca del consenso, l'appartenenza alla moda dominante, indipendentemente da qualsiasi valutazione sulla follia, o meno, di tale moda. Poiché non è statisticamente possibile che tutti i giudici che hanno firmato la sentenza siano dementi, è infatti solo pensabile che siano ansiosi di mostrare quanto sono disciplinatamente omologati.
Infatti gli illustri togati, respinto il ricorso, si sono però preoccupati di precisare che solo la crudele legge tuttora vigente in Italia imponeva loro tale decisione. Infatti, con un pistolotto, del tutto inutile, poiché il loro compito era solo di pronunciarsi sul ricorso del lui e lui, i giudici di Cassazione hanno tenuto a precisare che "i componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se secondo la legislazione italiana non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all'estero, tuttavia - a prescindere dall'intervento del legislatore in materia - quali titolari del diritto alla 'vita famigliare' e nell'esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza di specifiche situazioni, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata".
Non paghi di tanto pensiero, i magistrati di Cassazione si danno anche all'analisi etico-sociale, e stabiliscono che "è stata radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire naturalistico, della stessa esistenza del matrimonio". Non sufficit; proseguiamo e apprendiamo che "spetta al Parlamento, nell'esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni" omosessuali, "restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni". La Suprema Corte, infatti, riconosce che "in relazione ad ipotesi particolari" come per esempio nel caso di assegnazione della casa, è "riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale". Insomma, “Parlamentari, sbrigatevi ad approvare una legge che introduca finalmente in Italia il matrimonio tra invertiti”.
Meraviglioso. Il “diritto creativo” si fa sempre più strada.
Però c'è qualcosa che non quadra. I magistrati sono impiegati statali il cui compito è applicare le leggi vigenti. Non risulta che esistano, almeno per ora (o sono state inserite in uno dei mille decreti legge approvati con ricorso alla fiducia?) norme che assegnino alla magistratura un compito di analisi sociale, politica, etica, e via dicendo, con relativa lapidaria conclusione. Oltretutto, tanto per far ulteriormente cascare la fiducia nella magistratura, lo sproloquio sessual-social-matrimoniale denota una notevole confusione circa il significato della parola “diritto”. Se è “diritto” ciò che viene considerato meritevole di tutela specifica dall'ordinamento giuridico, nel pistolotto abbiamo un'estensione singolare del concetto. Cos'è il “diritto alla vita famigliare”? Cos'è il “ diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia”? E' necessario distinguere: ognuno di noi può fare liberamente tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge. In tal senso, abbiamo una serie infinita di “diritti” individuali, o di coppia, o di gruppo, e l'esercizio di questi diritti è tutelato semplicemente dal diritto fondamentale alla libertà personale. Nessuno può vietarmi di mangiare un cibo piuttosto che un altro, di incontrare alcune persone a altre no, di avere rapporti di amicizia o anche di intimità con chi desidero averli, di radunarmi in gruppi con finalità sportive, o culturali, o di semplice passatempo. L'ordinamento giuridico non interviene sulle mie scelte personali, se non quando questo violino la legge, o quando queste scelte siano tali da rivestire un particolare interesse sociale. Nel primo caso sarò punito secondo le norme penali, nel secondo caso l'ordinamento mi riconosce determinate tutele perché la situazione che ho creato riveste anche un interesse per la Società. Un semplice esempio: se io fondo il circolo del tennis, sono affari miei e di quanti aderiranno al circolo. Se invece fondo una Onlus, l'ordinamento mi riconosce alcune tutele particolari e facilitazioni di tipo normativo e fiscale, perché ho posto in essere una situazione di pubblico interesse.
Gli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione trattano della famiglia. Art. 29, primo comma: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Seguono gli altri articoli, con tutele specifiche per la maternità, per i figli e per le famiglie numerose. Andate a leggerli.
Il legislatore costituzionale ha garantito specifica tutela a ciò che il buon senso da sempre ci insegna: la famiglia è non solo la base della Società (i genitori sono tenuti, ex lege, a “mantenere, istruire ed educare i figli”, ovvero anche a formare dei buoni cittadini), ma è anche l'istituto che garantisce l'esistenza stessa della Società e la sua continuità, con la generazione dei figli. Non a caso il testo costituzionale (art.31, secondo comma) specifica che la Repubblica “Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
Un'altra notazione importante riguarda i figli: art.30, comma terzo: “La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima”. Giustamente i figli nati fuori dal matrimonio sono meritevoli di tutela, ma è sempre preminente la tutela della famiglia.
Ora, pur col massimo sforzo di fantasia è alquanto difficile che un rapporto tra due persone dello stesso sesso possa corrispondere in qualche modo alla famiglia, quale è configurata nel nostro ordinamento costituzionale, che altro non fa, lo ripetiamo, che recepire qualche millennio di semplice buono senso e di realismo.
Se lui e lui, o lei e lei, vogliono convivere, chi glielo impedisce? Tra l'altro, senza bisogno di essere omosessuali, da sempre esistono convivenze dettate, ad esempio, da convenienza economica: è quello che accade tra studenti fuori sede, tra amici che condividano un appartamento per ripartirsi le spese, e così via. Se poi in queste convivenze esista anche un rapporto omosessuale, ciò non interessa in alcun modo l'ordinamento, perché non è di alcun interesse per il bene comune. Tizio ha ogni diritto di convivere con Caio, ma porrà in essere un rapporto definibile in vari modi, e più o meno, o per nulla, riprovevole sotto l'aspetto morale, ma mai definibile come “famiglia”. Tutto ciò lascia indifferente l'ordinamento giuridico, e le eventuali problematiche che possano sorgere tra i conviventi saranno risolvibili sulla base delle norme generali del diritto civile e/o penale.
Chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui avrà notato che non abbiamo formulato alcun giudizio morale sulle convivenze tra omosessuali: in questa sede ci premeva solo sottolineare che tali rapporti entrano in quella sfera privatissima che, come tale, né riveste interesse collettivo,né può pretendere specifiche tutele che non siano quelle generali che regolano i rapporti tra cittadini.
Viviamo in un'epoca di imbarbarimento intellettuale e culturale, oltre che morale. Ormai è invalso l'uso di definire come “diritto” ogni capriccio, desiderio, tendenza dell'individuo. Con la stessa logica, se io sono ghiotto di sgombri in scatola, posso esigere la tutela giuridica se gli scaffali del supermercato sono privi di quei gustosi pesci.
Però è lecito dubitare che magistrati di Cassazione siano tra quelli che dicono “Io mi ho laureato al Cepu”. Il diritto lo conoscono, eccome, ma l'ansia del conformismo ha preso le toghe: niente di strano. Di cosa dobbiamo ormai stupirci, in questa Italia che marcia felice verso i destini radiosi dell'Europa unita?


(Fonte Riscossa cristiana, 15 marzo 2012)


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