Eutanasia,
cannabis, utero in affitto: sono l’oggetto di diverse proposte di legge, per
alcune delle quali sta iniziando l’iter alla Camera dei deputati. Insomma, il
calendario dei lavori non si fa mancare niente in quanto a tematiche
antropologicamente sensibili, considerando anche che prosegue il cammino della
legge sulle unioni civili – passata a Montecitorio – mentre inizia la
discussione sul testamento biologico in commissione Affari sociali.
I
tempi per arrivare alla votazione finale sulle diverse proposte entro questa
legislatura ci sono tutti (anche se per la maternità surrogata, presentata
finora solo in conferenza stampa, l’aria è quella di una provocazione con
scarse possibilità di esiti concreti): è innegabile una pressione sempre più
pesante, un vero e proprio assedio culturale, mediatico e, inevitabilmente,
anche politico, che mira a costruire un Mondo Nuovo in cui si scardinano le
certezze delle relazioni fondanti che da sempre hanno caratterizzato l’umanità.
Un Mondo Nuovo in cui non ci sono più padri e madri ma genitori a numero
progressivo (uno, due, tre...), definiti da appositi contratti commerciali, in
cui si vendono, si comprano o si affittano parti del corpo e bambini, a seconda
delle necessità; un Mondo Nuovo in cui la solidarietà verso chi soffre non
significa più condividere bisogni e alleviare il dolore, ma offrire la morte in
una solitudine medicalmente assistita; un Mondo Nuovo in cui è legittimo
spiaccicarsi cervello e volontà nei cosiddetti "paradisi
artificiali", e pazienza se sono i più giovani a farlo.
Un
Mondo Nuovo che però non ha dietro di sé reali richieste popolari: non ci sono
maggioranze nel Paese a rivendicare tutto questo, quanto piuttosto circoli ed
élite iper-rappresentati nel dibattito pubblico, che utilizzano il mantra della
«regolamentazione».
Il
ragionamento è semplice: siamo davanti a fenomeni nuovi, che esistono e si
stanno diffondendo sempre di più, e per questo li dobbiamo «regolamentare»,
cioè accettare, rendere legittimi, far entrare nel quadro normativo. Ma perché
non il contrario? Per quale motivo "mettere una regola" ai contratti
di utero in affitto, all’eutanasia, alla droga deve sempre e comunque
significare aprire le porte a tutte queste pratiche, anziché chiuderle? Perché
deve significare "sfrenare" e non piuttosto "arginare"?
Il
fatto è che la regolamentazione non è intesa nelle centrali di certe iniziative
legislative come un modo per limitare i danni e presidiare l’umano (dopo la
sentenza che tracciato la via per portare alla mo rte di Eluana Englaro, per
esempio, anche sui queste pagine ci si è battuti per una legge sul «fine vita»
capace di impedisse che altre persone morissero come lei, a causa della
negazione di acqua e cibo), ma è diventata la strada per realizzare il "lo
facciamo perché è possibile": se qualcosa si può realizzare, e io lo
voglio, diventa un mio diritto poterlo fare, e quindi ci deve essere una legge
per disegnare questo "diritto".
Qualcuno li ha chiamati i "diritti insaziabili", quelli su cui si basa il Mondo Nuovo, quelli in cui a ogni desiderio corrisponde un diritto, che quindi richiede una legge che lo "regoli", cioè lo renda legittimo ed esigibile.
Qualcuno li ha chiamati i "diritti insaziabili", quelli su cui si basa il Mondo Nuovo, quelli in cui a ogni desiderio corrisponde un diritto, che quindi richiede una legge che lo "regoli", cioè lo renda legittimo ed esigibile.
E
quando questo non accade, allora c’è sempre qualcuno che parla di "vuoto
normativo", e per questo a gran voce invoca la legge che realizzi il
desiderio, trasformandolo in diritto, in un crescendo vorticoso di desideri,
diritti e leggi come quello a cui stiamo assistendo in questi tempi nella
nostra società e, negli ultimi mesi, nel nostro Parlamento. Un quadro davanti
al quale dovremmo piuttosto fermarci, e riflettere se è veramente questo Mondo
Nuovo che davvero vogliamo.
(Fonte:
Assuntina Morresi (foto), Avvenire, 4 marzo
2016)
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