sabato 5 marzo 2016

Il valore delle regole

Eutanasia, cannabis, utero in affitto: sono l’oggetto di diverse proposte di legge, per alcune delle quali sta iniziando l’iter alla Camera dei deputati. Insomma, il calendario dei lavori non si fa mancare niente in quanto a tematiche antropologicamente sensibili, considerando anche che prosegue il cammino della legge sulle unioni civili – passata a Montecitorio – mentre inizia la discussione sul testamento biologico in commissione Affari sociali.
I tempi per arrivare alla votazione finale sulle diverse proposte entro questa legislatura ci sono tutti (anche se per la maternità surrogata, presentata finora solo in conferenza stampa, l’aria è quella di una provocazione con scarse possibilità di esiti concreti): è innegabile una pressione sempre più pesante, un vero e proprio assedio culturale, mediatico e, inevitabilmente, anche politico, che mira a costruire un Mondo Nuovo in cui si scardinano le certezze delle relazioni fondanti che da sempre hanno caratterizzato l’umanità. Un Mondo Nuovo in cui non ci sono più padri e madri ma genitori a numero progressivo (uno, due, tre...), definiti da appositi contratti commerciali, in cui si vendono, si comprano o si affittano parti del corpo e bambini, a seconda delle necessità; un Mondo Nuovo in cui la solidarietà verso chi soffre non significa più condividere bisogni e alleviare il dolore, ma offrire la morte in una solitudine medicalmente assistita; un Mondo Nuovo in cui è legittimo spiaccicarsi cervello e volontà nei cosiddetti "paradisi artificiali", e pazienza se sono i più giovani a farlo.
Un Mondo Nuovo che però non ha dietro di sé reali richieste popolari: non ci sono maggioranze nel Paese a rivendicare tutto questo, quanto piuttosto circoli ed élite iper-rappresentati nel dibattito pubblico, che utilizzano il mantra della «regolamentazione».
Il ragionamento è semplice: siamo davanti a fenomeni nuovi, che esistono e si stanno diffondendo sempre di più, e per questo li dobbiamo «regolamentare», cioè accettare, rendere legittimi, far entrare nel quadro normativo. Ma perché non il contrario? Per quale motivo "mettere una regola" ai contratti di utero in affitto, all’eutanasia, alla droga deve sempre e comunque significare aprire le porte a tutte queste pratiche, anziché chiuderle? Perché deve significare "sfrenare" e non piuttosto "arginare"?
Il fatto è che la regolamentazione non è intesa nelle centrali di certe iniziative legislative come un modo per limitare i danni e presidiare l’umano (dopo la sentenza che tracciato la via per portare alla mo rte di Eluana Englaro, per esempio, anche sui queste pagine ci si è battuti per una legge sul «fine vita» capace di impedisse che altre persone morissero come lei, a causa della negazione di acqua e cibo), ma è diventata la strada per realizzare il "lo facciamo perché è possibile": se qualcosa si può realizzare, e io lo voglio, diventa un mio diritto poterlo fare, e quindi ci deve essere una legge per disegnare questo "diritto".
Qualcuno li ha chiamati i "diritti insaziabili", quelli su cui si basa il Mondo Nuovo, quelli in cui a ogni desiderio corrisponde un diritto, che quindi richiede una legge che lo "regoli", cioè lo renda legittimo ed esigibile.
E quando questo non accade, allora c’è sempre qualcuno che parla di "vuoto normativo", e per questo a gran voce invoca la legge che realizzi il desiderio, trasformandolo in diritto, in un crescendo vorticoso di desideri, diritti e leggi come quello a cui stiamo assistendo in questi tempi nella nostra società e, negli ultimi mesi, nel nostro Parlamento. Un quadro davanti al quale dovremmo piuttosto fermarci, e riflettere se è veramente questo Mondo Nuovo che davvero vogliamo.

(Fonte: Assuntina Morresi (foto), Avvenire, 4 marzo 2016)



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