Una
indagine sociologica mostra i dati dell’ignoranza delle verità della fede da
parte dei giovani che frequentano la vita parrocchiale. Colpa della società, ma
anche di quanto offriamo loro.
Novemila
under 30, scelti secondo rigorosi criteri statistici, sono stati intervistati
in un progetto curato dalle ricercatrici Rita Bichi e Paola Bignardi. I
risultati sono poi confluiti nel volume “Dio a modo mio. Giovani e fede in
Italia” (Vita e Pensiero). Emerge un quadro che dire desolante è poco anche
se non insospettato da chi abbia minimamente il polso della situazione.
Ciò che più impressiona è il semianalfabetismo religioso dei giovani cattolici universitari o già laureati, che hanno frequentato sei e più anni di catechismo e magari tuttora partecipano alla vita di realtà almeno nominalmente ecclesiali. Insomma il dato di questa ricerca che ci deve veramente interrogare è quello che riguarda i “nostri” giovani e li fotografa in uno stato che, spesso, si fatica persino a dire di cristianesimo, figuriamoci se si possa chiamare di sana e robusta fede cattolica.
Emerge dominante tra i giovani “cattolici” un’idea vaga e confusa di religione, un sincretismo inconsapevole, una ignoranza crassa dell’abc del Cristianesimo, una pratica alla vita sacramentale optional. Un guazzabuglio new age dove la Risurrezione si confonde con la reincarnazione, Gesù è una specie di Buddha palestinese, W il Papa ma se mi parla di morale allora quasi quasi meglio il Dalai Lama, che Dio esista anche ci credo ma della Santissima Trinità non mi sfiora neppure il pensiero e così continuando.
E sono i “nostri” giovani, quelli che hanno frequentato il catechismo, battezzati-comunicati-cresimati, che per tredici anni di scuola hanno seguito un’ora alla settimana di religione cattolica. Questo studio certifica, ce ne fosse ancora bisogno, il drammatico fallimento della catechesi e della pastorale degli ultimi trent’anni, se non quaranta.
Le chiese sono sempre più vuote e così le aule di catechismo ma non riusciamo a formare decentemente neppure quella piccola percentuale di giovani che passano ancora per le nostre cure educative. Ovviamente le felici eccezioni non mancano, eroici parroci, splendidi catechisti, insegnanti di religione per vocazione, ragazzi dottrinalmente preparati e motivati ma … la media statistica dice altro ed è da piangere!
Piangiamo pure ma chiediamoci il perché di tanto e tale disastro. Il cardinale Robert Sarah, lo scorso maggio, osservava, intervenendo al Pontificio istituto Giovanni Paolo II, il fallimento formativo del catechismo dei fanciulli così come impostato negli ultimi decenni nella più parte delle parrocchie italiane: “I bambini fanno solo disegni e non imparano niente”, così il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino.
E come dargli torto se poi i frutti sono quelli rilevati dallo studio di Bichi e Bignardi. Il buon vecchio catechismo di san Pio X che ha formato generazioni e, immagino, lo stesso cardinal Sarah bambino, dava ben più generosi frutti. Le nostre nonne, magari analfabete, sapevano benissimo che Gesù è vero uomo e vero Dio, che la Madonna è sempre vergine, che Iddio è Uno e Trino, quali sono i novissimi, le tre virtù teologali, le quattro cardinali, i dieci comandamenti, i sette sacramenti e le opere di misericordia corporale e spirituale. Poi sono arrivati i nuovi metodi pedagogici, i grandi modelli pastorali, buttato via il nozionismo e con esso anche le nozioni, tutto è dialogo, socializzazione, scambio e interazione … e abbiamo gli universitari “cattolici” che scambiano Buddha con Gesù!
Certo la società non aiuta, la crisi della famiglia nemmeno ma ciò spiega in parte, non giustifica il fallimento generalizzato e plateale dell’istruzione religiosa degli ultimi decenni. Forse per comprendere la crisi del catechismo si deve allargare un po’ l’orizzonte d’indagine e guardare alla realtà delle parrocchie e degli altri poli educativi ecclesiali e chiedersi: sono realtà animate dalla profonda consapevolezza di avere un tesoro divino da partecipare? C’è chiara la coscienza della Verità eterna ricevuta, l’unica Verità dalla cui luce ogni uomo deve essere illuminato? Insomma, chi insegna è previamente lui convinto che la Divina Rivelazione custodita e trasmessa dalla Chiesa è l’unica luce capace di illuminare e dar senso all’enigma umano?
Quando si ha la fortuna d’incontrare un prete, un catechista, un insegnante di religione con simile consapevolezza, coscienza, convinzione allora il Vangelo affascina, brilla di splendida luce, Cristo si mostra per quello che è: il più bello tra i figli dell’uomo e il Logos eterno, la Bellezza e la Verità sussistenti. E c’è il rischio di innamorarsene e di voler donare tutta la propria vita a Lui.
Ma quanto è difficile incontrare simili maestri nella fede, quanto difficile!
Ricordo la noia infinita provata durante le ore di catechismo e la delusione negli anni del primo sbocciare della ragione speculativa in me per il vuoto culturale sperimentato negli ambienti “di Chiesa”, per un cristianesimo che mi appariva sempre più insipido, incapace di rispondere ai grandi interrogativi dell’anima umana. Ricordo che mille domande si affacciavano alla mia mente: domande su me, il cosmo, Dio, la storia e la Chiesa, l’escatologia, il senso delle cose, talmente tante che ora più neppure le ricordo tutte. Risposte in parrocchia? Buoni sentimenti a piene mani, qualche richiamo al sociale, gite e pizzate, prima delle Palme disegnare Gesù su qualche cartellone in groppa all’asinello e prima di Natale in fasce nella greppia. E così anch’io fui uno di quelli che appena terminato il catechismo non misi più piede in parrocchia.
E se la Provvidenza non mi avesse fatto incontrare un ottuagenario Monsignore d’altri tempi (lo definirei un colto e santo prete anni ’50) e quel miracolo intellettuale che è il tomismo chi lo sa dove sarei finito, in quale miraggio avrei cercato d’estinguere la mia sete di Verità. Di certo non in chiesa! Forse sarei finito a parlar di archetipi con Jung o sarei con Severino a dir che tutto è eterno o più probabilmente, deluso dai vari tentativi, mi cullerei in una gnosi pessimista e tragica alla scuola di Cioran e Ceronetti. Ma così avrei perso Cristo e allora povero me se non avessi conosciuto del Cristianesimo che la versione sciocca che lasciai.
Che compassione, che stringimento di cuore mi fanno allora i giovani che, avendo sperimentato solo il Cristianesimo da pizzata e cartellone, cercano altrove un senso alla vita o semplicemente si adagiano a vivere senza più neppure pretendere che la vita abbia un senso. Oggettivamente sbagliano, lo so bene, perché solo Cristo è Via, Verità e Vita e Cristo lo si incontra nella Chiesa ma come li capisco, come li sento vicini e come mi fa rabbia pensare a così tante anime smarrite semplicemente perché non hanno trovato ciò che era loro sacrosanto diritto ricevere da noi pastori: la Verità tutta intera e nulla di meno!
Ciò che più impressiona è il semianalfabetismo religioso dei giovani cattolici universitari o già laureati, che hanno frequentato sei e più anni di catechismo e magari tuttora partecipano alla vita di realtà almeno nominalmente ecclesiali. Insomma il dato di questa ricerca che ci deve veramente interrogare è quello che riguarda i “nostri” giovani e li fotografa in uno stato che, spesso, si fatica persino a dire di cristianesimo, figuriamoci se si possa chiamare di sana e robusta fede cattolica.
Emerge dominante tra i giovani “cattolici” un’idea vaga e confusa di religione, un sincretismo inconsapevole, una ignoranza crassa dell’abc del Cristianesimo, una pratica alla vita sacramentale optional. Un guazzabuglio new age dove la Risurrezione si confonde con la reincarnazione, Gesù è una specie di Buddha palestinese, W il Papa ma se mi parla di morale allora quasi quasi meglio il Dalai Lama, che Dio esista anche ci credo ma della Santissima Trinità non mi sfiora neppure il pensiero e così continuando.
E sono i “nostri” giovani, quelli che hanno frequentato il catechismo, battezzati-comunicati-cresimati, che per tredici anni di scuola hanno seguito un’ora alla settimana di religione cattolica. Questo studio certifica, ce ne fosse ancora bisogno, il drammatico fallimento della catechesi e della pastorale degli ultimi trent’anni, se non quaranta.
Le chiese sono sempre più vuote e così le aule di catechismo ma non riusciamo a formare decentemente neppure quella piccola percentuale di giovani che passano ancora per le nostre cure educative. Ovviamente le felici eccezioni non mancano, eroici parroci, splendidi catechisti, insegnanti di religione per vocazione, ragazzi dottrinalmente preparati e motivati ma … la media statistica dice altro ed è da piangere!
Piangiamo pure ma chiediamoci il perché di tanto e tale disastro. Il cardinale Robert Sarah, lo scorso maggio, osservava, intervenendo al Pontificio istituto Giovanni Paolo II, il fallimento formativo del catechismo dei fanciulli così come impostato negli ultimi decenni nella più parte delle parrocchie italiane: “I bambini fanno solo disegni e non imparano niente”, così il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino.
E come dargli torto se poi i frutti sono quelli rilevati dallo studio di Bichi e Bignardi. Il buon vecchio catechismo di san Pio X che ha formato generazioni e, immagino, lo stesso cardinal Sarah bambino, dava ben più generosi frutti. Le nostre nonne, magari analfabete, sapevano benissimo che Gesù è vero uomo e vero Dio, che la Madonna è sempre vergine, che Iddio è Uno e Trino, quali sono i novissimi, le tre virtù teologali, le quattro cardinali, i dieci comandamenti, i sette sacramenti e le opere di misericordia corporale e spirituale. Poi sono arrivati i nuovi metodi pedagogici, i grandi modelli pastorali, buttato via il nozionismo e con esso anche le nozioni, tutto è dialogo, socializzazione, scambio e interazione … e abbiamo gli universitari “cattolici” che scambiano Buddha con Gesù!
Certo la società non aiuta, la crisi della famiglia nemmeno ma ciò spiega in parte, non giustifica il fallimento generalizzato e plateale dell’istruzione religiosa degli ultimi decenni. Forse per comprendere la crisi del catechismo si deve allargare un po’ l’orizzonte d’indagine e guardare alla realtà delle parrocchie e degli altri poli educativi ecclesiali e chiedersi: sono realtà animate dalla profonda consapevolezza di avere un tesoro divino da partecipare? C’è chiara la coscienza della Verità eterna ricevuta, l’unica Verità dalla cui luce ogni uomo deve essere illuminato? Insomma, chi insegna è previamente lui convinto che la Divina Rivelazione custodita e trasmessa dalla Chiesa è l’unica luce capace di illuminare e dar senso all’enigma umano?
Quando si ha la fortuna d’incontrare un prete, un catechista, un insegnante di religione con simile consapevolezza, coscienza, convinzione allora il Vangelo affascina, brilla di splendida luce, Cristo si mostra per quello che è: il più bello tra i figli dell’uomo e il Logos eterno, la Bellezza e la Verità sussistenti. E c’è il rischio di innamorarsene e di voler donare tutta la propria vita a Lui.
Ma quanto è difficile incontrare simili maestri nella fede, quanto difficile!
Ricordo la noia infinita provata durante le ore di catechismo e la delusione negli anni del primo sbocciare della ragione speculativa in me per il vuoto culturale sperimentato negli ambienti “di Chiesa”, per un cristianesimo che mi appariva sempre più insipido, incapace di rispondere ai grandi interrogativi dell’anima umana. Ricordo che mille domande si affacciavano alla mia mente: domande su me, il cosmo, Dio, la storia e la Chiesa, l’escatologia, il senso delle cose, talmente tante che ora più neppure le ricordo tutte. Risposte in parrocchia? Buoni sentimenti a piene mani, qualche richiamo al sociale, gite e pizzate, prima delle Palme disegnare Gesù su qualche cartellone in groppa all’asinello e prima di Natale in fasce nella greppia. E così anch’io fui uno di quelli che appena terminato il catechismo non misi più piede in parrocchia.
E se la Provvidenza non mi avesse fatto incontrare un ottuagenario Monsignore d’altri tempi (lo definirei un colto e santo prete anni ’50) e quel miracolo intellettuale che è il tomismo chi lo sa dove sarei finito, in quale miraggio avrei cercato d’estinguere la mia sete di Verità. Di certo non in chiesa! Forse sarei finito a parlar di archetipi con Jung o sarei con Severino a dir che tutto è eterno o più probabilmente, deluso dai vari tentativi, mi cullerei in una gnosi pessimista e tragica alla scuola di Cioran e Ceronetti. Ma così avrei perso Cristo e allora povero me se non avessi conosciuto del Cristianesimo che la versione sciocca che lasciai.
Che compassione, che stringimento di cuore mi fanno allora i giovani che, avendo sperimentato solo il Cristianesimo da pizzata e cartellone, cercano altrove un senso alla vita o semplicemente si adagiano a vivere senza più neppure pretendere che la vita abbia un senso. Oggettivamente sbagliano, lo so bene, perché solo Cristo è Via, Verità e Vita e Cristo lo si incontra nella Chiesa ma come li capisco, come li sento vicini e come mi fa rabbia pensare a così tante anime smarrite semplicemente perché non hanno trovato ciò che era loro sacrosanto diritto ricevere da noi pastori: la Verità tutta intera e nulla di meno!
(Fonte:
Samuele Cecotti, Vita Nuova, 15 marzo 2016)
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