Il settimanale paolino dedica la copertina ai "credenti omosessuali" e benedice le unioni civili raccontando le storie delle coppie gay. Tra stravolgimenti della Bibbia, negazione del peccato e promozione dei gruppi cristiani Lgbt va in scena una presentazione della "famiglia gay".
Ecco
come i media “cattolici” entrano nel calderone infuocato di Fiducia
Supplicans per “tirare la volata” al documento sulle benedizioni gay
firmato dal prefetto Víctor Manuel Fernández, detto Tucho, e difeso a spada
tratta da Papa Francesco. Nel numero appena uscito in edicola, Famiglia
Cristiana ha dedicato sei pagine più la copertina al caso Fiducia
Supplicans intervistando tre coppie di credenti omosessuali e
denigrando tutti i vescovi oppositori al documento papale.
Ma
nel difendere le benedizioni si è spinta decisamente oltre andando a dare
il via libera direttamente alle unioni civili, senza curarsi di quanto scritto
dallo stesso settimanale riportando le parole di Francesco che «si
benedicono le persone, non le unioni». Ma senza curarsi nemmeno dello stato
di peccato manifesto in cui tali coppie vivono, credenti o no. Ma non c’è
da stupirsi: la rivoluzione si serve di menzogne per poter affermare i suoi
principi.
E
i principi che Famiglia Cristiana vuole trasmettere nel
difendere Fiducia Supplicans sono quelli dell’omoeresia come
completamente affermata dentro la Chiesa. Chi la osteggia è meritevole – lui! -
di condanna.
Tutto
è studiato nei minimi dettagli. A cominciare dalla copertina che ritrae
don Gianluca Carrega, vecchia conoscenza della “pastorale Lbgt+” torinese,
che stringe la mano a Papa Francesco accanto a una donna lesbica. La
“rivendicazione” per la scelta della foto di prima è nel titolo: Omosessuali
credenti, una Chiesa in ascolto. Nel servizio, un corsivo del
direttore Don Stefano Stimamiglio, spiega le ragioni: «Fedeli alla nostra
tradizione e per sfuggire ai pregiudizi, abbiamo scelto anche noi di andare nei
crocicchi del presente e di incontrare alcune coppie omosessuali credenti, per
capire chi sono e come vivono i drammi che spesso sperimentano con le loro
famiglie». Quello del crocicchio è un riferimento alla parabola evangelica
della festa di nozze del figlio del re, tema che tornerà spesso
nell’“inchiesta” con uno stravolgimento del dettato di Matteo.
Le
porte di casa si aprono e Innocenzo e Carlo, 52 e 51 anni, si fanno ritrarre
nel tinello di casa con le tazzine da caffè in tinta, le mani che si sfiorano e
l’anulare di uno dei due ben in vista con l’anello. Nella pagina successiva i
due compaiono con in braccio un gattino: «Abbiamo scelto di non avere figli»,
dicono, «la nostra paternità si esprime nei confronti di chi accogliamo
in Kairos e nell’aver creato l’esperienza di Gionata.org.
Veniamo
al punto: Famiglia Cristiana non fa parlare due soldati
semplici del catto-omosessualismo, ma “i generali”, essendo uno dei due il
coordinatore del gruppo Kairos dal 2005. «Anni in cui per gli
omosessuali non c’era un luogo in cui pregare», frase che dovrebbe suscitare
qualche emozione per far comprendere che prima di Papa Francesco gli
omosessuali non potessero neanche entrare in chiesa.
Tutto,
nel racconto – a cura di Chiara Pelizzoni – è studiato per scimmiottare l’immagine
della famiglia. Non solo le foto così “domestiche”, ma anche in certe
affermazioni nelle quali appropriarsi dell’immagine matrimoniale e volgerla a
beneficio delle coppie irregolari: «Ci siamo uniti civilmente nell’agosto 2020:
un impegno di fedeltà e amore davanti alle persone che ci vogliono bene». E
ancora: «Ci siamo presentati alle famiglie di origine», proprio come fanno le
coppiette di fidanzati; «Gli aspetti decisivi della nostra vita sono
l’omoaffettività e l’Amore per Dio»; «Il coro parrocchiale e l’attività nel
gruppo famiglie», nella parrocchia di don Bledar Xhuli a Campi Bisenzio in
diocesi di Firenze. Sì, gruppo famiglie, infatti il settimanale paolino non ha
problemi a chiamare quella dei due una “famiglia”.
Dalla
“famiglia” di Carlo e Innocenzo, si passa a quella di Maria e Paolo, genitori
di Gioia, che in giugno convolerà a unione civile con la sua compagna di cui
non si fa nemmeno il nome. Le due sono seguite dalla pastorale dell’inclusione
voluta dal vescovo di Firenze Betori. I suoi genitori appaiono sorridenti e
ricordano con orrore il periodo in cui la figlia le confidò che amava un’altra
donna perché «la sigla Lgbt appariva come qualcosa di esoterico, disgustoso,
riprovevole». Oggi invece, complice la frase biblica «tu sei preziosa ai miei
occhi e io ti amo» i genitori hanno appreso che dalla Bibbia bisogna eliminare
le interpretazioni fondamentaliste che creano un filo spinato, clave sulla
testa delle persone omosessuali». Della serie: la Bibbia è omofoba, a patto che
non la interpretiamo diversamente, allora tutto fila liscio.
Sì,
ma come la mettiamo con il peccato che la condotta omosessuale porta con
sé ed è sancito dal Catechismo? Niente paura: «Nessuno è senza peccato, tutti
dobbiamo continuamente convertirci a Cristo». «E le condanne della Bibbia»,
chiede la giornalista? «Sono testi nati in determinati contesti storici che
vanno riletti da una prospettiva diversa». Insomma, svecchiamo l’esegesi, mica
siamo ancora nel 3000 avanti Cristo!
Da
Firenze andiamo a Roma dove ad aprire le porte di casa al settimanale ormai
“fu paolino” sono Giulia e Aurora, anch’esse unite civilmente nel settembre
2021. Anche loro attive in parrocchia, anche loro attiviste di un gruppo
omoeretico chiamato Progetto Giovani Lgbtq+. Scopriamo che – sempre
per scimmiottare la famiglia – le due hanno persino frequentato un corso
pre-unione per fidanzati omosessuali tenuto da genitori con figli omosessuali:
«Alla fine del percorso quattro coppie sono arrivate all’unione civile», esulta
una delle due, proprio come se si trattasse dell’approdo nuziale.
Però
le difficoltà con la Chiesa ci sono state, prima. «Col mio vecchio parroco
c’erano problemi, una volta in confessione mi disse che l’omosessualità non
esisteva. Oggi non riesco a confessarmi». E ti credo: non riesco o non posso?
Al reverendo l’ardua sentenza.
La
ciliegina sulla torta ce la mette il vescovo Antonio Staglianò, detto “don
Tonino”, presidente della Pontificia Accademia di Teologia. Dice che Papa
Francesco con Fiducia Supplicans è stato un profeta e
minimizza il piccolo ostacolo del peccato manifesto che queste coppie
ostentano: «La misericordia di Dio è prima del peccato originale, che non è
universale, perché Maria ne è stata preservata». Della serie: Maria è il “tana
libera tutti” per i nostri peccati. Siccome lei non ne aveva allora, non
possiamo sempre perderci dietro queste quisquilie da confessionale.
Si
procede così, con stravolgimenti costanti al magistero e alla Bibbia pur
di adattare la realtà al dettato del nuovo documento pontificio, del quale
ormai non interessa nemmeno l’aspetto delle benedizioni. Perché il
servizio di Famiglia (fu) cristiana è costruito per
propagandare non solo l’omoeresia dilagante, ma anche per difendere l’istituto
dell’unione civile, da non confondere col matrimonio, ma comunque da
tutelare, come
del resto anche Papa Francesco ha detto.
Ma
anche per negare il peccato, parola che non impensierisce nessuno degli autori dei
servizi, e per salire sul carro esibendo lo scalpo degli sconfitti. Con la
pubblicità fatta a tutti gruppi di cristiani Lgbt+, è chiaro che l’obiettivo è
mostrare che la nota di Ratzinger del 1986, nella quale si metteva in guardia
dall’ingresso nelle parrocchie di organizzazioni che promuovevano la causa gay
nella Chiesa, è ormai morta e sepolta come il suo autore, che tra l’altro – il
destino è beffardo a volte - fu proprio il predecessore di Tucho alla Dottrina
della fede.
(Fonte:
Andrea Zambrano, LNBQ, 1 febbraio 2024)
famiglia-cristiana-usa-fiducia-supplicans-per-benedire-le-unioni-gay (lanuovabq.it)
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