venerdì 20 giugno 2008

Cattolici in rivolta: Europa contro la famiglia

«I famosi Dico, le adozioni alle coppie omosessuali, il matrimonio tra persone dello stesso sesso... Tutto ciò che crediamo di aver chiuso fuori della porta del nostro Paese rischia di rientrare ora dalla finestra dell’Europa». È l’allarme che lancia la professoressa Marta Cartabia, docente di Diritto costituzionale all’università di Milano-Bicocca, curatrice di un corposo saggio intitolato “I diritti in azione” (Il Mulino).
La studiosa, in sintonia con l’«Association pour la Fondation Europa» (Afe) e con varie realtà del mondo cattolico lancia l’allarme per quello che definisce il rischio di «colonialismo giurisdizionale», vale a dire l’invasione, a suon di sentenze delle corti europee, degli ambiti spettanti alle Costituzioni nazionali.
«Teoricamente -spiega la studiosa - l’Europa non dovrebbe intervenire in tema di diritto familiare e questo è sancito anche in un protocollo al Trattato di Lisbona. Ma questi argomenti ritornano attraverso altre vie, ad esempio le direttive anti-discriminazione o le sentenze delle corti europee».
Nel primo caso, si nota l’attivismo dell’Agenzia per i diritti fondamentali di Vienna, che, come dichiarato neanche troppo velatamente dal suo direttore, il danese Morten Kjaerum, non si limita soltanto a combattere la giusta battaglia contro le discriminazioni nei confronti degli omosessuali nel mondo del lavoro, ma considera «discriminatorio» il fatto che i gay non possano sposarsi o adottare bambini.
«Le direttive antidiscriminazione – afferma la professoressa Cartabia – una volta inserite nel diritto europeo diventano il volano per la richiesta di equiparazione delle coppie gay alla famiglia». Per quanto riguarda invece il caso delle sentenze, basta ricordare quella della Corte europea per i diritti dell’uomo, che all’inizio di quest’anno ha condannato la Francia per aver rifiutato a una lesbica l’autorizzazione ad adottare un bambino (del quale, peraltro, la compagna convivente della ricorrente non aveva alcuna intenzione di occuparsi), stabilendo un risarcimento per danni morali di 10mila euro. O il caso della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, che lo scorso aprile, pur non potendo in realtà intervenire su temi previdenziali, ha dato ragione a un omosessuale tedesco che vi si era rivolto per ottenere la pensione di reversibilità del compagno scomparso, reversibilità non prevista dalle unioni civili in Germania.
«Non c’è dubbio -denuncia Giorgio Salina, presidente dell’Association pour la Fondation Europa -che la convergenza di deputati europei appartenenti a diversi gruppi politici, gli inter-gruppi gay e lesbiche e analoghe organizzazioni europee determinano una forte pressione relativista nelle varie istituzioni». Accade inoltre, continua Salina, che «le varie Corti internazionali, incluse alcune Corti costituzionali nazionali, assumano le reciproche sentenze e le risoluzioni del Parlamento europeo quali fonti del diritto, accumulando giurisprudenza. Si tratta di un metodo surrettizio di legiferare attraverso la magistratura aggirando le competenze riconosciute alle varie istituzioni».
Nelle scorse settimane, la ministra del Lavoro del governo di Parigi, Rachida Dati, in prospettiva dell’imminente presidenza francese del Consiglio dell’Unione, ha affermato: «Il presidente Sarkozy e il governo francese intendono porre il tema dell’adozione di un diritto di famiglia comune nell’Ue, e ciò per evitare onerosi contenziosi in occasione della libera circolazione dei cittadini nei Paesi membri».
Invocare un’uniformità sul diritto familiare significa aprire la questione del matrimonio e dell’adozione per gli omosessuali. Il Trattato di Lisbona, che regola il funzionamento delle istituzioni comunitarie, recepisce anche la Carta dei diritti fondamentali, rendendola vincolante. Non è un caso, fanno osservare Cartabia e Salina, che quel documento «sia aperto a diverse interpretazioni dei diritti relativi all’antropologia umana. Basti ricordare che l’articolo 9 cita il diritto a sposarsi e separatamente il diritto a formare una famiglia». Proprio il tentativo di alcune forze di procedere per via legislativa in sede europea, nel disinteresse generale, potrebbe far rientrare nel nostro Paese concezioni di famiglia diverse da quella sancita nella nostra Costituzione. (Andrea Tornielli, il Giornale, 11 giugno 2008)

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