giovedì 5 giugno 2008

A che serve la FAO?

Suite a cinque stelle per combattere la povertà
Se la FAO non esistesse, ogni anno 1.188.493 persone eviterebbero la morte per fame. Tanti sono infatti gli individui che potrebbero campare, con almeno 1 dollaro al giorno per 12 mesi, ove i 433.8 milioni del budget annuale della Food and Agricolture Organization andassero ai bisognosi, invece che alimentare questo inutile ente dell'Onu. Moltiplicato per i suoi 63 anni di esistenza, gli individui sulla coscienza della FAO sfiorerebbero i 75 milioni. In compenso migliaia di professional dell'agenzia continuano a condurre una vita da sogno, coccolati in una babele di sprechi e privilegi a spese dei Paesi donatori e di quello ospitante, cui spetta il conto della logistica: l'Italia. Fedeli al vero motto del carrozzone umanitario. Non "Food for all" ma "Food for Fao".
Qual è il più grande organismo per gli aiuti alimentari delle Nazioni Unite con sede a Roma? La risposta pare scontata: la FAO. Invece no. L'agenzia in prima linea nella lotta contro la fame è il World Food Program, con base sempre nella capitale (via Viola). Esso dispone del doppio dei dipendenti FAO (8000 contro 4000), e di un budget annuale 7 volte tanto (2.9 mld di $). Alimenta 73 milioni di persone in 78 Paesi. Mentre la mission della FAO è in sostanza informare sui bisogni della popolazione. Una specie di enorme ufficio studi, di cui il WFP non è l'unico clone. Anche in campo agricolo esiste un'agenzia specializzata dell'Onu, l'IFAD, che raccoglie fondi per i contadini denutriti. E ha un bilancio pari a un terzo di quello FAO. La sede? Ancora Roma, via Del Serafico.
Che ci fanno casse di Champagne, delicatessen, capi firmati e profumi alla page nei sotterranei del quartier generale FAO alle Terme di Caracalla, tra i poster di africani morenti? Sono solo una parte dei prodotti offerti a prezzi super-politici ai 400 dirigenti, nel market "Commissary" situato al primo piano interrato. Lo spaccio, in virtù dell'extraterritorialità, sarebbe riservato ai diplomatici. Ma lo scambio di tessere è pratica comune. Come il reselling. Completano il carnet per i 2500 impiegati la boutique al ground floor (con sconti del 40% e schiccherie senza marchio FAO), un distributore interno con benzina sottocosto, una banca, un presidio medico con ambulanza, una fermata "privata" del metrò.
Già nel '94 il neo direttore Diouf lanciò la "grande riforma" per ridurre i mostruosi costi dei dipendenti. Un esercito di consulenti, collaboratori, personale a contratto e associato, diviso tra infiniti comitati, sezioni e sottosezioni. Con quote fisse riservate senza merito agli originari di culture dalla scarsa produttività. Ciò che non cala mai sono però gli stipendi. Un archivista di basso livello (P1) guadagna come il manager di una media azienda. Coordinatori P3 e Senior commodity specialist sopra i 100.000 euro. Nel 2007 Diouf ha rilanciato l'inefficace riforma con le stesse parole di 13 anni prima. Creando la paradossale figura del controllore dei controllori.
I lavori dentro le sedi FAO non finiscono mai. Pareti, pavimenti, mense, negozi, sale conferenza, sistemi elettrici, strumenti informatica e video. Tutto è in perenne rifacimento. Gli appalti se li aggiudicano le solite aziende amiche. Ma certamente sarà un caso. A far la parte del leone nel bilancio dei donors, le voci Amministrazione e Strutture, Politiche direttive ed Emolumenti, che da sole si mangiano quasi due terzi del budget. Tanto paga Pantalone. Alla cooperazione sul campo restano le briciole.
Per i delegati dei Paesi poveri il Food Summit nella città eterna è una vacanza pagata a 5 stelle. Verranno pure a chiedere l'elemosina, ma per farlo si piazzano financo nella suite reale dell'Hotel Parco dei principi. Dove dispongono dello stretto necessario: salone privato da 200 mq, 2 cucine autonome per pranzi luculliani, idromassaggio e bagno turco computerizzati, tigri in bronzo in scala reale, lampadari d'oro e stoviglie d'argento.
In virtù dei passaporti diplomatici i dipendenti FAO possono acquistare le auto più prestigiose dai concessionari romani col 40% di sconto e assicurarle RCA per un tozzo di pane. Sono immuni dalle multe e godono di un regime esent-iva anche su arredi e beni di consumo. La "Casa Gazette" è zeppa di annunci merceologici col marchio Diplomat sales o Trattamenti speciali FAO. Lo consente l'art. 13 dell'accordo Italia FAO del 1951, che equipara l'esenzione fiscale dei funzionari a quella dei diplomatici d'ambasciata in tempi di guerra. Una nota interpretativa dell'allora ministro Andreotti estese nell'86 i privilegi pure agli italiani in servizio alla FAO.
Ai figli dei dipendenti l'agenzia paga collegi per super-ricchi da 12.000 euro l'anno, a un passo dal Colosseo. Ad esempio sulle rette di frequenza del St. Stephen's di via Aventina, mamma FAO rimborsava il 75% della retta. Ad attendere i pargoli un campus di tre acri in stile Usa, con campi da tennis, spazi per danza e pattinaggio su ghiaccio, art studios e mediacenter. La FAO Coop, inoltre, organizza per i dipendenti più di 50 corsi, dal tango allo yoga, dalla dama al golf. Per i saggi finali li porta al Carnevale di Viareggio. Due le palestre interne. Ma i più gettonati sono i corsi di teatro: agli appassionati del palcoscenico si insegna il metodo FeldenKrais.
Lavorare stanca, specie al computer. Per le schiene dei cari dipendenti la FAO crea un dipartimento onde studiare postazioni più comode.
Quando i fondi anti-povertà si perdono in mille sprechi, in FAO girano il conto agli stessi Paesi da assistere. Finanziando l'avvio del progetto per poi lasciare l'onere a un altro Paese del 3° mondo, un filo meno in crisi, ma a sua volta beneficiario delle campagne di donazione. Geniale.
Fra gli Stati "assistiti" figurano anche i 33 membri del Sids, i "Microstati isolani in via di sviluppo", tra cui, udite, udite, Bahamas, Maldive, Seychelles, Barbados, Mauritius, Fiji, e l'emirato del Bahrein. Peccato che in questi paradisi oltre a non esserci la fame non c'è neppure l'agricoltura. E gli Ogm? Se vi si ricorresse in modo massiccio la fame nel mondo sparirebbe. Ecco perchè la priorità della FAO è rammentarne ai governi i presunti rischi. Ma l'etica non si mangia. (Francesco Ruggeri, Libero, 4 giugno 2008)

Risotto, mousse e Pinot grigio. L'abbuffata contro la fame
Vol au vent alla mozzarella, crema di gamberetti, ragôut de veau e mousse in tutte le salse: al formaggio e al limone con sciroppo di lampone. I capi di Stato e i vertici della Fao riuniti ieri a Roma non riescono a risolvere il problema della fame nel mondo da decenni, ma questo non rovina il loro appetito né gli leva il gusto dell'abbuffata. Cinque portate, ce n'è in abbondanza per tutti: sotto a chi tocca. E pazienza se il menù stride come una bestemmia col tema chiave della kermesse. Esaurite le chiacchiere e sfilato tutto il carosello delle buone intenzioni, la fame ha iniziato a farsi sentire anche ai vertici del Pianeta, che ieri erano concentrati nella sede della Fao, in viale Aventino. E tutti i capi di Stato e di governo sono sciamati in sala da pranzo a dare requie allo stomaco, loro che possono. Con manicaretti da grand gourmet . E pazienza se i tre quarti della popolazione mondiale non ha mai visto una sogliola neanche in cartolina. Ai big del mondo ieri la Fao offriva pasta a la crema di zucca e gamberetti come primo piatto. Introdotto da un antipasto di vol au vent con mais e mozzarella. Oggi, invece, mousse di formaggio bianco al forno, come entrée, e pasta all'insalatina di campo con pomodori pachino. Domani invece, menù all'italiana: tortine rustiche alle zucchine e risotto alla parmigiana. Alla faccia di chi la carne non la vede nemmeno di domenica, la Fao ai potenti la serve ogni giorno. Carne a volontà, di tutti i tipi e per tutti i gusti. C'era ieri: involtini di vitella con pachino. C'è oggi: straccetti di manzo. Ci sarà domani: stufato di vitellone alle verdurine (piselli e carote). Con supplemento di contorno: patate fritte. Un piatto alla Mc Donald's, si dirà, che chiunque può permettersi. Ma vuoi mettere le pommes de terre sautées? Contorno anche ieri e oggi, ovviamente. E burro a go-go: epinards à la romaine , che è un modo chic di dire spinaci burro e parmigiano. E fagiolini al burro. Mentre il prezzo degli alimentari nei Paesi poveri è spinto all'insù dall'uso dei cereali per la produzione di biocarburanti, i grandi della Terra pontificano satolli sulla fame del mondo, a spese della Fao, cioè degli Stati che la finanziano. Ogni giorno cinque portate: antipasto, primo, secondo, contorno e dolce, naturalmente. Milioni di bambini nel mondo non sanno nemmeno cosa vuol dire la parola dessert. Ma di certo ieri non mancava sulla tavola dei big intercontinentali. Ai poveri del mondo la Fao consiglia di sfamarsi con gli insetti, ma ai loro presidenti offre Salad de fruit , versione francese della macedonia, che è stata servita con palline di gelato alla vaniglia. Ananas al gelato è la variante di oggi. Mentre domani il menù prevede come dessert mousse au citron avec sauce aux framboise (mousse al limone con sciroppo di lamponi). Il tutto innaffiato da vini di qualità. Ogni giorno un vino diverso. Ieri bianco: Orvieto classico Poggio Calvelli del 2005. Oggi nero D'Avola 05 Cabernet Altavilla della Corte. Domani Pinot grigio Trentino del 2007. Prima di sedersi a tavola, ha fatto scalpore il divieto di accesso al vertice Fao imposto ad Ahmad Rafat, vicedirettore di Aki-Adnkronos international. Al giornalista ieri è stato fisicamente impedito l'accesso al palazzo Fao come «persona non gradita», con il ritiro dell'accredito e del pass. Molto probabilmente Rafat, che è anche membro dell'esecutivo di "Information, Safety & Freedom" (un'associazione italiana che si occupa di libertà di informazione in tutto il mondo), sconta il duro appello lanciato nei giorni scorsi affinché sia ricordato ovunque che in Iran è in atto una feroce repressione dei diritti umani e civili. Alla sua richiesta di spiegazioni, l'addetto alla sicurezza gli ha detto che la sua presenza non era gradita «per qualche delegazione», senza voler precisare quale. Stando ad alcune voci raccolte dal vicedirettore dell'Adnkronos international, la sua presenza non sarebbe stata gradita alla conferenza stampa del presidente iraniano. «Se fosse vero», protesta Rafat, «non è ammissibile che Ahmadinejad possa dettare legge in Italia». (Barbara Romano, Libero 4 giugno 2008)

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