La buona educazione imporrebbe di non esultare per una condanna, perché quando qualcuno finisce in galera si usa dire che è una sconfitta per tutti. Ma siccome a volte, per non dire sempre, è meglio essere maleducati che ipocriti, ci rallegriamo pubblicamente per i dieci anni che il gup Marina Finiti ha inflitto a tale Stefano Lucidi, un signore che nel maggio scorso a Roma aveva investito e ucciso due ragazzi che viaggiavano su uno scooter. Investiti, si badi bene, in queste condizioni: 1) era drogato; 2) era ubriaco; 3) andava a velocità folle; 4) era passato con il rosso; 5) era interdetto alla guida; 6) dopo aver travolto i due ragazzi, era scappato.
È la condanna più pesante mai comminata in Italia per un incidente stradale: il precedente «record» era di sei anni e mezzo, e spettava a Marco Ahmetovic, il giovane rom che il 23 aprile 2007 aveva ammazzato quattro ragazzi ad Appignano del Tronto guidando - pure lui ubriaco - un furgone. Ma, soprattutto, ieri per la prima volta in Italia il responsabile di un incidente stradale è stato riconosciuto colpevole di omicidio volontario.
Ed è questa la vera novità. Con la sentenza di ieri il gup Marina Finiti ha non solo fatto giustizia, ma spazzato via tutta la retorica auto-giustificazionista di legioni di suoi colleghi i quali, ogni volta che si contesta loro di usare la mano morbida, rispondono che questa è la legge, e loro non possono farci nulla. Dicono: il codice ha le sue norme, e noi quelle dobbiamo applicare; se non si fa giustizia, la colpa è dei politici che non cambiano le leggi.
In realtà in Italia la legge già riconosce ai magistrati - molto più che altrove - un ampio potere discrezionale. Nel caso degli incidenti, è vero che quasi sempre si tratta di colpa e non di dolo, perché non c'è la volontà di uccidere. Ma il Codice - il Codice che c'è già: non quello fantasticato da giudici che allargano le braccia in segno di impotenza - prevede il cosiddetto «dolo eventuale», cioè l'aver «agito nonostante la previsione dell'evento». Ad esempio: se vado ai giardinetti in pieno giorno e sparo contro una siepe, posso ragionevolmente mettere in conto l'elevata possibilità di far secco qualcuno che non vedo, ma che è probabile stia dall'altra parte. Allo stesso modo, chi guida nelle condizioni in cui guidava Lucidi, non può dire, se ammazza qualcuno, che non l'ha fatto apposta.
Non sappiamo se la sentenza del giudice Finiti resisterà ai successivi gradi di giudizio. Conoscendo la giustizia italiana, ne dubitiamo. Ma intanto un giudice ha finalmente avuto il coraggio di far prevalere il buon senso sui cavilli. Ha rotto un tabù, insomma, e fissato un precedente. Per questo ci rallegriamo. A costo di passare per rozzi forcaioli. (Michele Brambilla, 27 novembre 2008)
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