E per chi? A giudicare dalla vistosa condanna (oltre 9 anni di carcere), ingenue vecchiette che sarebbero state raggirate, perché incapaci di intendere e di volere, convinte che gli artifici e le formule miracolose vendute da Wanna Marchi potessero liberarle da un eventuale malocchio. Non è neppure da escludere che anche con successive telefonate le due Marchi e il loro mago di famiglia, Do Nascimento, potessero avere favorito il tremore e la superstizione garantendo la forza magica degli amuleti, o Tapiri salati, venduti per essere nascosti in armadi, in attesa del miglioramento dei tempi. Ho ascoltato il lamento di molte vittime, e non ho visto una vecchina. Le vecchine, furbissime, non hanno abboccato.
Le due Marchi hanno rappresentato l’equivalente televisivo del ciarlatano, del venditore di pozioni miracolose, il Dulcamara dell’Elisir d’amore, nella mente di molti per la bellissima aria donizettiana. Nessuno nelle epoche passate avrebbe mai pensato di arrestarlo. Essendo evidente la sua funzione sociale consolatoria e comica. Ma nelle epoche lontane l’inganno poteva fondarsi sulla credulità degli ingenui, ovvero sull’ignoranza, sull’analfabetismo, su quello che oggi si sintetizza nell’immagine delle «vecchine» ingenue e credulone. Ma se allora quella funzione sociale poteva essere riconosciuta, nel nostro tempo non dovrebbe essere consentito un processo alle streghe. E - per paradosso - non si dovrebbero condannare le due Marchi, attraverso l’inchiesta televisiva di Striscia la notizia perché il contesto è cambiato.
Il contesto, appunto. Giacché da molti anni vi è la scuola dell’obbligo; l’analfabetismo è ridotto, in alcune aree marginali del Paese, o forse in comunità di clandestini, allo 0,5 per cento, ed è in ogni caso fuori legge. E nessuna persona adulta che abbia fatto le scuole medie inferiori può credere al malocchio e ad amuleti di sale che lo allontanino. Inoltre nelle denunce presentate, per emulazione televisiva, contro le due Marchi non risultano vecchine ma persone di mezza età fra i 30 e i 55 anni, generalmente di sesso maschile e molte diplomate o laureate. Dunque difficile ipotizzare il raggiro. Ma un’ignoranza colpevole che prova, se ne avessimo bisogno, il fallimento della scuola. In questo vuoto si sono calate le due Marchi probabilmente non sospettando neppur loro una zona così ampia di analfabetismo di ritorno. In questa loro funzione di test involontario esse provano oltre ogni aspettativa il maleficio della televisione rispetto alla scuola.
Un ragazzo studia italiano, storia, geografia, matematica e poi anche latino, algebra, fisica, francese, inglese; e poi arriva Wanna Marchi con il Tapiro salato e subito, ignorando Dante, Parini, Talete, Archimede, Copernico, si lascia conquistare dal mago Do Nascimento. Altro che Giordano Bruno, Spinosa, Kant, Hegel e Marx. Tutto inutile, il futuro è del Tapiro salato. Eppure nessuna delle persone che noi frequentiamo, e che pure è sottoposta a dosi quotidiane massicce di televisione, sembra aver mai comprato, o ammettere di averlo fatto, Tapiri da Wanna Marchi.
Nelle inchieste di Striscia abbiamo visto i volti e sentito le parole delle vittime. Nessun analfabeta. Dunque la colpa è forse della ossessione televisiva, dell’intontimento? Ma è possibile attribuirla a figure comiche prive di ogni credibilità, caricaturali come la urlacchiante Wanna Marchi e la figlia? Anche loro sono vittime dello strumento che ha consentito l’imprevedibile diffondersi del maleficio. Esse sono attrici di uno spettacolo comico. Se uno spettatore laureato uccide perché ha visto un film violento, si è identificato in un eroe negativo, interpretato da un attore, non si arresta il regista del film, non si incrimina l’attore o il produttore. Si fanno riflessioni sociologiche sull’inevitabile violenza dei tempi di cui il film è specchio. Ecco, le due Marchi sono lo specchio dell’ignoranza dei tempi e del fallimento della scuola. Con loro per concorso esterno in associazione a delinquere d’ignoranza diffusa andrebbero incriminati professori, presidi, ministri dell’epoca della scuola media dell’obbligo. Del vero e ben più grave reato sociale che ho intuito e descritto, in tanti sono colpevoli, in televisione e fuori.
(Fonte: Il Giornale, 9 marzo 2009)
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