Quello che sinceramente mi dà fastidio, molto, molto fastidio in tutta la vicenda del cosiddetto testamento biologico e della nuova legge approvata dal Senato, è questo ossessivo richiamo alla laicità dello Stato contro lo Stato etico. Gianfranco Fini, davanti alla platea del PDL, ha detto che “quando si impone per legge un precetto, si è più vicini a una posizione da Stato etico che da Stato laico”. Quel riferimento ad un precetto puzza tanto di sacrestia. E infatti da altre parti, dove si usano termini ben più espliciti di quelli di Fini, si parla addirittura di “legge confessionale” e perfino di “ritorno all’oscurantismo”. Insomma, sembra che qui si sia fatta una legge che piace alla Chiesa e questo non va proprio bene in uno Stato laico.
Quando sento ragionare in questo modo mi si accappona letteralmente la pelle. Si tratta di slogan ad effetto, che colpiscono la gente e che trovano la cassa di risonanza della maggior parte dei giornali italiani. Siamo notoriamente in un regime. Sono slogan, e nulla più, perché se vai a fare un ragionamento possibilmente sensato, scopri che dietro le frasi ad effetto di ragioni ve ne sono davvero poche.
A Fini hanno risposto bene sia l’on. Schifani (“La laicità non è omissione di responsabilità”) che l’on. Quagliarello (“Il vero Stato etico è quello in cui, con la scusa dell’assenza di una legge specifica, un tribunale si arroga il diritto di determinare la morte”). Mi trovo d’accordo con loro.
Il Parlamento è stato letteralmente trascinato a formulare un testo di legge dall’ennesima vicenda gestita ed orchestrata dai radicali, il caso Eluana. Un caso che riguarda una minima percentuale di italiani (nelle condizioni di quella donna ci saranno sì e no duemila persone in tutta Italia). Un caso limite, sul quale si è voluta costruire una campagna culturale a favore dell’eutanasia.
Perché è lì che tutto tende.
Vecchia tattica quella dei radicali: sbattere il caso pietoso in prima pagina per colpire al cuore gli italiani, per dare un bel cazzottone nello stomaco. Accadde con l’aborto. C’era la ragazza stuprata; la ragazza-madre abbandonata da tutti e impossibilitata a dare un avvenire al proprio figlio; la coppia povera… La legge si è fatta e l’aborto è dilagato, diventando una vera e propria pratica contraccettiva. Altro che casi pietosi e ragazzine! A parte le extracomunitarie, sono le donne italiane tra i 20 e i 30 anni, spesso benestanti e istruite, a ricorrere all’aborto. Lo dicono le statistiche.
Allora, qual è la tattica? Costruire una legge sul caso limite per poi applicarla in modo largo.
Ma torniamo alla legge sul fine vita. Perché sarebbe “confessionale”? Quale “precetto” divino starebbe difendendo? Fino ad oggi abbiamo salvato il tentato suicida; i medici si sono prodigati per riportare in vita gente caduta in uno stato di coma (e ci riescono, nella stragrande maggioranza dei casi); l’eutanasia è stata vietata, ai sensi degli art. 575, 579 e 580 del codice penale; si è evitato di ricorrere all’accanimento terapeutico, cioè ad interventi straordinari non proporzionati, se quegli interventi non mutavano sostanzialmente il quadro clinico del paziente.
Tutto questo si è fatto fino ad oggi.
Domando: vivevamo già in uno Stato “etico” e non ce ne siamo accorti?
In realtà l’accusa di creare uno Stato “etico” va rispedita al mittente, come ha fatto l’on. Quagliarello. E’ infatti Fini, sono i radicali, è il senatore Marino, è tutta questa gente che vuole una cosa molto semplice: sostituire una nuova etica a quella che fino ad oggi ha innervato le nostre leggi e le nostre consuetudini. Questi signori vogliono che passi un concetto del tutto nuovo, figlio di una visione laicista, relativistica e nichilistica: l’autodeterminazione del soggetto fino all’estrema volontà di essere lasciati liberi di morire. E’ una rivoluzione culturale ed etica, che lo Stato, secondo costoro, dovrebbe recepire, per essere veramente “laico”. La conclusione è loro, ma è un falso sillogismo. Lo Stato diventerebbe ostaggio di una nuova etica.
Faccio degli esempi: se uno, volendo suicidarsi, si butta da una finestra e sta per strada a dibattersi tra la vita e la morte, sulla base del criterio dell’autodeterminazione dovremmo lasciarlo lì a morire senza muovere un dito. E se uno volesse morire e si rivolgesse per questo ad una struttura ospedaliera, sulla base del principio di autodeterminazione la struttura dovrebbe accompagnarlo alla morte. E se una persona (che ha scritto una dichiarazione con la quale rifiuta ogni forma di alimentazione artificiale), in seguito ad un incidente stradale entra in coma reversibile, il medico dovrebbe incrociare le braccia, senza somministrare quelle cure che salverebbero il paziente. E chi incontrasse per strada un drogato agonizzante per overdose, dovrebbe lasciarlo morire, senza fare alcunché per lui.
In tutti questi casi sarebbe salvo il principio di autodeterminazione, ma intuiamo benissimo che qui si sta ribaltando ogni principio solidaristico che finora ha regolato la nostra società. Fino ad oggi abbiamo ragionato così: io non sono un’isola, faccio parte della società e quindi non posso pretendere che la mia libertà sia un assoluto. Perché mai dovremmo cambiare?
La nuova legge, per quello che ho capito, riconosce al singolo la libertà di esprimere chiaramente un parere sul proprio fine vita (e questo mette al sicuro il medico che in certi casi valuti anche la concreta possibilità di “staccare la spina”), ma dentro una ragionevolezza, in un confronto con il medico, al quale, in scienza e coscienza, e secondo il codice deontologico, spetta di valutare la situazione.
Certo, è una legge molto attenta e rigorosa, ma questo è necessario, perché frasi ambigue e sfumate sarebbero utilizzate dal magistrato “creativo” di turno per stravolgerne il contenuto.
Io la chiamerei, più che legge confessionale, legge Eluana, perché nasce con il preciso desiderio che la barbara eliminazione di quella povera donna e quella situazione assurda e paradossale, che ha visto la Magistratura sostituirsi al Parlamento, non si debbano più ripetere.
E qualcuno, a questo punto, mi spieghi cosa c’entrano le disquisizioni sullo Stato “etico”.
(Fonte: La Cittadella, 30 marzo 2009)
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