Il ministro per le Pari opportunità nega il patrocinio alla sfilata: "Il governo non può sostenere i Dico". La lobby omosessuale si scatena con sparate e insulti insieme a Prc e Comunisti. Pd spaccato, la Franco attacca mentre Follini è cauto...
Il popolo omosessuale è compatto contro Mara Carfagna. Il neoministro per le Pari opportunità annuncia che non darà il patrocinio al Gay Pride nazionale, in programma a Bologna il 28 giugno, e contro di lei si scatena la moltitudine dei «diversamente orientati», più una nutrita rappresentanza dell’opposizione.
«L’omosessualità non è più un problema - dice la Carfagna al Corriere della Sera - oggi l’integrazione nella società esiste. I miei amici gay non mi descrivono una realtà così tetra nel nostro Paese, ma se l’unico obiettivo del Gay Pride è arrivare al riconoscimento ufficiale delle coppie omosessuali, non posso essere d’accordo. Sono pronta ad agire su casi concreti, però sono molti altri i problemi di pari opportunità: donne, disabili, anziani, bambini».
Una dichiarazione che dimostra, per il presidente nazionale di Arcigay, che il ministro vive «nel mondo delle favole». Aurelio Mancuso fa un mix di fiabe e paragona la Carfagna alla matrigna di Cenerentola, augurandosi «che un principe la baci e la svegli», come la Bella Addormentata. A questo punto, dice, Silvio Berlusconi deve chiarire la linea del governo. Le «battutacce da bar» del ministro, attacca il leader storico dell’Arcigay Franco Grillini, confermano «quanto la destra italiana sia omofoba e non ami la diversità». Manuela Palermi del Pdci accosta le discriminazioni del gay ai campi nomadi bruciati e ammonisce: «Il nazismo cominciò così». E Vladimir Luxuria, ex deputata indipendente del Prc, accusa la Carfagna di guidare «un ministero inutile che di fatto non ci rappresenta».
La titolare per le Pari opportunità reagisce, ribadendo al «signor Vladimiro Guadagno» che il suo ministero ha come priorità i problemi di chi «è veramente discriminato»: donne lavoratrici e madri, minori, anziani e portatori di handicap. E non si deve confondere «con l’ufficio stampa e propaganda del movimento lgbt». Dove la sigla sta per lesbiche, gay, bisex e transessuali. Luxuria non si arrende, e il botta e risposta prosegue: «Visto che sembra non vivere in questo mondo, la invito a scambiare innocenti effusioni sentimentali con un’altra donna in pubblico per rendersi conto che l’omosessualità continuerà a essere un problema finché è la società a crearci problemi». Barbara Pollastrini, che sedeva al posto della Carfagna nel governo Prodi, la avverte: «Contrapporre diritto a diritto, dovere a dovere è quanto di più miope e ingannevole possa fare la politica».
Non sarà che la formula della kermesse dell’orgoglio omosex è vecchia e inefficace? Se lo chiede Antonio Mazzocchi, presidente dei Cristiano Riformisti del Pdl, a 8 anni dal World Gay Pride fatto a Roma, tra mille polemiche, nell’anno del Giubileo. «Non mi risulta che grazie a questo discutibile strumento siano stati risolti i problemi delle discriminazioni omofobiche. Sarà il caso di dare un’inversione di rotta e finanziare iniziative che si occupino realmente di combattere quelle violenze che colpiscono soprattutto la comunità glbt?». La sigla torna, ormai è nel lessico comune. Il Gay Pride è «una iniziativa censurabile, che non merita il patrocinio del ministero delle Pari opportunità»: concorda con la Carfagna Isabella Bertolini del Pdl. Opposto il parere di Vittoria Franco, ministro-ombra per le Pari opportunità del Pd: «Il Gay Pride non è altro che una giornata di rivendicazione dei diritti delle persone omosessuali, la Carfagna farebbe bene a partecipare». Dicendo no, per Fabio Evangelisti dell’Idv, «in un sol colpo è riuscita a sconfessare il mandato del proprio ministero e i propositi della propria formazione politica». Ma anche nel Pd c’è chi, come Marco Follini, ha qualche dubbio: «Il Gay Pride è un diritto degli omosessuali ma il patrocinio non è un dovere del governo».
Dal suo ex partito, l’Udc, Luca Volontè giudica «stravaganti critiche di sinistra e gay contro la corretta decisione» della Carfagna e le perplessità anche del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, sul «Pride carnevalesco». (Anna Maria Greco, Il Giornale, 20 maggio 2008)
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