giovedì 26 maggio 2016

“Amoris laetitia” ha un autore ombra. Si chiama Víctor Manuel Fernández

Impressionanti somiglianze tra i passaggi chiave dell’esortazione di papa Francesco e due testi di dieci anni fa del suo principale consigliere. Un doppio sinodo per una soluzione che era già scritta.

Sono i paragrafi chiave dell’esortazione postsinodale “Amoris laetitia”. E sono anche i più volutamente ambigui, come provano le molteplici e contrastanti interpretazioni e applicazioni pratiche che hanno immediatamente avuto.
Sono i paragrafi del capitolo ottavo che di fatto danno il via libera alla comunione ai divorziati risposati.
Che lì papa Francesco volesse arrivare, è ormai evidente a tutti. E del resto già lo faceva quando era arcivescovo di Buenos Aires.
Ma ora si scopre che anche alcune formulazioni chiave della “Amoris laetitia” hanno una preistoria argentina, ricalcate come sono su un paio di articoli del 2005 e del 2006 di Víctor Manuel Fernández, già allora e ancor più oggi pensatore di riferimento di papa Francesco e scrittore ombra dei suoi testi maggiori.
Più sotto sono messi a confronto alcuni passaggi della “Amoris laetitia” con dei brani di quei due articoli di Fernández. La somiglianza tra gli uni e gli altri è fortissima.
Ma prima è utile inquadrare il tutto.

In quegli anni Fernández era professore di teologia alla Universidad Católica Argentina di Buenos Aires.
E in quella stessa università si era tenuto nel 2004 un congresso teologico internazionale di approfondimento della “Veritatis splendor”, l’enciclica di Giovanni Paolo II “circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa”, decisamente critica dell’etica “della situazione”, la corrente lassista già presente tra i gesuiti nel secolo XVII e oggi più che mai diffusa nella Chiesa.
Attenzione. La “Veritatis splendor” non è un’enciclica minore. Nel marzo del 2014, in uno dei suoi rari e meditatissimi scritti da papa emerito, Joseph Ratzinger, nell’indicare le encicliche a suo giudizio “più importanti per la Chiesa” delle quattordici pubblicate da Giovanni Paolo II, ne citò dapprima quattro, con poche righe ciascuna, ma poi ne aggiunse una quinta, che era proprio la “Veritatis splendor”, alla quale dedicò un’intera pagina, definendola “di immutata attualità” e concludendo che “studiare e assimilare questa enciclica rimane un grande e importante dovere”.
Nella “Veritatis splendor” il papa emerito vedeva restituito alla morale cattolica il suo fondamento metafisico e cristologico, l’unico capace di vincere la deriva pragmatica della morale corrente, “nella quale non esiste più quel che è veramente male e quel che è veramente bene, ma solo quello che, dal punto di vista dell’efficacia, è meglio o peggio”.
Ebbene, quel convegno del 2004 a Buenos Aires, dedicato in particolare alla teologia della famiglia, si mosse nella stessa direzione tratteggiata da Ratzinger. E fu proprio per reagire a quel convegno che Fernández scrisse i due articoli qui citati, praticamente in difesa dell’etica della situazione.
Anche a motivo di quei due articoli la congregazione per l’educazione cattolica bloccò la candidatura di Fernández a rettore della Universidad Católica Argentina, salvo poi doversi piegare, nel 2009, all’allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, che fece fuoco e fiamme per ottenere il nulla osta alla promozione del suo pupillo.
Nel 2013, appena eletto papa, Bergoglio insignì Fernández perfino dell’ordine episcopale, con il titolo dell’estinta sede metropolitana di Tiburnia. Mentre tenne confinato alla Biblioteca Apostolica Vaticana il principale responsabile della bocciatura, il teologo domenicano Jean-Louis Bruguès, senza farlo cardinale, come invece è tradizione per tutti i Bibliotecari di Santa Romana Chiesa.
E da allora Fernández passa quasi più tempo a Roma che a Buenos Aires, impegnatissimo com’è a fare da ghostwriter del suo amico papa, senza che nel frattempo siano cresciute le sue credenziali di teologo, già tutt’altro che brillanti all’esordio.
Il primo libro, infatti, che rivelò al mondo il genio di Fernández fu: “Guariscimi con la tua bocca. L’arte di baciare”, edito nel 1995 in Argentina con questa presentazione al lettore fatta dall’autore stesso: “Ti chiarisco che questo libro non é stato scritto sulla base della mia personale esperienza quanto della vita della gente che bacia. In queste pagine voglio riassumere il sentimento popolare, quello che la gente prova quando pensa a un bacio, quello che sentono i mortali quando baciano. Per questo ho parlato a lungo con tante persone che hanno molta esperienza in materia, e anche con tanti giovani che imparano a baciare alla loro maniera. Inoltre ho consultato tanti libri e ho voluto mostrare come i poeti parlano del bacio. Così, nell’intento di sintetizzare l’immensa ricchezza della vita sono venute queste pagine a favore del bacio, che spero ti aiutino a baciare meglio, che ti spingano a liberare in un bacio il meglio del tuo essere”.
Mentre per quanto riguarda la considerazione che Fernández ha di sé basta una citazione di un anno fa, da una sua intervista al “Corriere della Sera”, sprezzante nei confronti del cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede e quindi esaminatore previo – ma da tre anni inascoltato – delle bozze dei testi papali: “Ho letto che alcuni dicono che la curia romana fa parte essenziale della missione della Chiesa, o che un prefetto del Vaticano è la bussola sicura che impedisce alla Chiesa di cadere nel pensiero ‘light’; oppure che quel prefetto assicura l’unità della fede e garantisce al pontefice una teologia seria. Ma i cattolici, leggendo il Vangelo, sanno che Cristo ha assicurato una guida ed una illuminazione speciale al papa e all’insieme dei vescovi ma non a un prefetto o ad un altra struttura. Quando si sentono dire cose del genere sembrerebbe quasi che il papa fosse un loro rappresentante, oppure uno che è venuto a disturbare e che dev’essere controllato. […] Il papa è convinto che quello che ha già scritto o detto non possa essere punito come un errore. Dunque, in futuro tutti potranno ripetere quelle cose senza la paura di ricevere sanzioni”.
Questo è dunque il personaggio che Francesco si tiene stretto come suo pensatore di riferimento, l’uomo che ha messo per iscritto larghe parti della “Evangelii gaudium”, il programma del pontificato, della “Laudato si’“, l’enciclica sull’ambiente, e infine della “Amoris laetitia”, l’esortazione postsinodale sulla famiglia.

Ed ecco qui di seguito i passaggi della “Amoris laetitia” in cui sono evidenti i ricalchi sulle formulazioni di Fernández di dieci anni fa.
Che è utile leggere tenendo presente quanto detto recentemente da Robert Spaemann, un grande filosofo e teologo al quale Fernández non può neppure essere messo a paragone: “Il vero problema è un’influente corrente di teologia morale, già presente tra i gesuiti nel secolo XVII, che sostiene una mera etica situazionale. Giovanni Paolo II ha ricusato l’etica della situazione e l’ha condannata nella sua enciclica ‘Veritatis splendor’. ‘Amoris Laetitia’ rompe anche con questo documento magisteriale”.

Confronto tra la “Amoris laetitia” e due articoli di Víctor Manuel Fernández di dieci anni fa
I testi con le rispettive abbreviazioni: 
AL – Francesco, Esortazione apostolica postsinodale “Amoris laetitia”, 19 marzo 2016. 
Fernández 2005 – V. M. Fernández, “El sentido del carácter sacramental y la necesidad de la confirmación”, in “Teología” 42 n. 86, 2005, pp. 27-42.
Fernández 2006 – V. M. Fernández, “La dimensión trinitaria de la moral. II. Profundización del aspecto ético a la luz de ‘Deus caritas est’“, in “Teología” 43 n. 89, 2006, pp. 133-163.
Sono indicati ogni volta, accanto alle abbreviazioni, per la “Amoris laetitia” i numeri dei paragrafi e per gli articoli di Fernández le pagine.

“AMORIS LAETITIA” 300
(AL: 300)
Si evita il rischio che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale.
(Fernández 2006: 160)
Non si propone in tal modo una doppia morale o una “morale della situazione”.

“AMORIS LAETITIA” 301
(AL: 301)
Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante.
(Fernández 2005: 42)
Tenendo conto dei condizionamenti che attenuano o sopprimono l’imputabilità (cf. CCE 1735), esiste sempre la possibilità che una situazione oggettiva di peccato coesista con la vita della grazia santificante.
(AL: 301)
I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere “valori insiti nella norma morale” [Nota 339] o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa.
[Nota 339: Giovanni Paolo II, Esort. ap. “Familiaris consortio”, 22 novembre 1981, 33: AAS 74 (1982), 121].
(Fernández 2006: 159)
Quando il soggetto storico non si trova in condizioni soggettive per agire diversamente o di comprendere “i valori insiti nella norma” (cf. FC 33c), o quando “un impegno sincero riguardo a una norma determinata può non portare immediatamente ad accertare l’osservanza di tale norma” [Nota 45].
[Nota 45: B. Kiely, “La ‘Veritatis splendor’ y la moralidad personal”, in G. Del Pozo Abejon (ed.), “Comentarios a la ‘Veritatis splendor’“, Madrid, 1994, p. 737].
(AL: 301)
Come si sono bene espressi i Padri sinodali, “possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione”. Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù [Nota 341], in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: “Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù” [Nota 342].
[Nota 341: Cfr Summa Theologiae I-II, q. 65, a. 3, ad 2; De malo, q. 2, a. 2].
[Nota 342: Ibid., ad 3].
(Fernández 2006: 156)
San Tommaso riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù “propter aliquas dispositiones contrarias” (ST I-II 65, 3, ad 2). Questo non significa che non possieda tutte le virtù, bensì che non può manifestare con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà per disposizioni contrarie: “Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù” (ibid., ad 3).

“AMORIS LAETITIA” 302
(AL: 302)
Riguardo a questi condizionamenti il Catechismo della Chiesa cattolica si esprime in maniera decisiva: “L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali” [Nota 343]. In un altro paragrafo fa riferimento nuovamente a circostanze che attenuano la responsabilità morale, e menziona, con grande ampiezza, l’immaturità affettiva, la forza delle abitudini contratte, lo stato di angoscia o altri fattori psichici o sociali [Nota 344]. Per questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta [Nota 345].
[Nota 343: N. 1735].
[Nota 344: Cfr ibid., 2352; Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. “Iura et bona” sull’eutanasia, 5 maggio 1980, II: AAS 72 (1980), 546. Giovanni Paolo II, criticando la categoria della “opzione fondamentale”, riconosceva che “senza dubbio si possono dare situazioni molto complesse e oscure sotto l’aspetto psicologico, che influiscono sulla imputabilità soggettiva del peccatore” (Esort. ap. “Reconciliatio et paenitentia”, 2 dicembre 1984, 17: AAS 77, 1985, 223)].
[Nota 345: Cfr Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Dichiarazione sull’ammissibilità alla comunione dei divorziati risposati, 24 giugno 2000, 2].
(Fernández 2006: 157)
Ciò appare in un modo esplicito nel Catechismo della Chiesa cattolica: “L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali” (CCC 1735). Il Catechismo fa riferimento ugualmente all’immaturità affettiva, alla forza delle abitudini contratte, allo stato di angoscia (cf. CCE 2352). Nell’applicare questa convinzione, il pontificio consiglio per i testi legislativi afferma, riferendosi alla situazione di divorziati risposati, che solo si parla di “peccato grave, inteso oggettivamente, perché (p. 158) dell’imputabilità soggettiva il ministro della comunione non potrebbe giudicare” [Nota 42].
[Nota 42: Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, punto 2a].
(Fernández 2005: 42)
D’altra parte, dato che non  possiamo giudicare la situazione soggettiva delle persone [Nota 23] e tenendo conto dei condizionamenti che attenuano o sopprimono l’imputabilità (cf. CCE 1735), esiste sempre la possibilità che una situazione oggettiva di peccato coesista con la vita della grazia santificante.
[Nota 23: Su questo punto alcuni interventi recenti del magistero non lasciano posto a dubbi. Il pontificio consiglio per i testi legislativi afferma, facendo riferimento alla situazione dei divorziati risposati, che si parla di “peccato grave, inteso oggettivamente, perché dell’imputabilità soggettiva il ministro della comunione non potrebbe giudicare”: Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, punto 2a. Allo stesso modo, in una recente notificazione della congregazione per la dottrina della fede, si sostiene che per la dottrina cattolica “esiste una valutazione precisa e ferma sulla moralità oggettiva delle relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso”, mentre “il grado di imputabilità morale soggettiva che tali relazioni possono avere in ogni caso singolo è una questione che qui non è in discussione”: Congregazione per la dottrina della fede, Notifica su alcuni scritti del Rev.do P. Marciano Vidal, 22 febbraio 2001, 2b. Evidentemente, la base di queste affermazioni si trova in quanto difende il Catechismo della Chiesa cattolica nel punto 1735, citato alla fine del testo di questo articolo].

“AMORIS LAETITIA” 305
(AL: 305)
A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa [Nota 351]. Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti.
[Nota 351: In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti…].
(Fernández 2006: 156)
Questo dinamismo trinitario che riflette la vita intima della divine persone può realizzarsi anche entro una situazione oggettiva di peccato (p. 157) sempre che, a causa del peso dei condizionamenti, non sia soggettivamente colpevole.
(Fernández 2006: 159)
… una “realizzazione del valore entro i limiti delle capacità morali del soggetto” [Nota 46]. Ci sono, allora, “obiettivi possibili” per questo soggetto concizionato, o “tappe intermedie” [Nota 47] nella realizzazione di un valore, anche se orientate sempre al pieno compimento della norma.
[Nota 46: G. Irrazabal, “La ley de la gradualidad como cambio de paradigma”, in “Moralia” 102/103 (2004), p. 173].
[Nota 47: Cf. G. Gatti, “Educación moral”, in AA.VV., “Nuevo Diccionario de Teología moral”, Madrid, 1992, p. 514].
(Fernández 2006: 158)
Non c’è dubbio che il magistero cattolico ha ammesso con chiarezza che un’atto oggettivamente cattivo, come è il caso di una relazione prematrimoniale o l’uso di un preservativo in un rapporto sessuale, non necessariamente porta a perdere la vita della grazia santificante, dalla quale trae origine il dinamismo della carità.
(Fernández 2005: 42)
D’altra parte, posto che non possiamo giudicare della situazione soggettiva delle persone e tenendo conto dei condizionamenti che attenuano o sopprimono l’imputabilità (cf. CCE 1735), esiste sempre la possibilità che una situazione oggettiva di peccato coesista con la vita della grazia santificante.
(Fernández 2005: 42)
Non giustifica questo l’amministrazione del battesimo e della cresima ad adulti che si trovano in una situazione oggettiva di peccato, sulla cui colpevolezza soggettiva non si può emettere giudizio?

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 25 maggio 2016)




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