In una
recente conferenza in Spagna, il card. Gerhard Müller, custode della dottrina
cattolica, cercando di mettere una toppa sulle esplosive trovate eterodosse
dell’ “Amoris laetitia” di Bergoglio, ha affermato che nessun papa può cambiare
la dottrina sui sacramenti istituiti da Cristo.
Poi
Müller ha spiegato la loro centralità: “Sant’Agostino ha visto nell’economia
sacramentale della Chiesa l’architettura fondamentale dell’arca di
Noè, che è il corpo di Cristo, con il battesimo come grande porta. La
Chiesa può navigare perché il suo guscio e la sua alberatura hanno la forma di
questo amore di Gesù, comunicato nei sacramenti”.
Eppure
proprio contro i sacramenti si è scatenata l’opera demolitrice di papa Bergoglio
che rischia di far affondare la nave. Quelli più colpiti – con atti
ufficiali – sono stati i sacramenti del matrimonio, dell’eucaristia e della
confessione (insieme con un paio di Comandamenti). Ma anche il battesimo – con
artiglieria minore – è stato bersagliato.
Ora è
arrivato il momento di colpire il sacerdozio e Bergoglio lo fa in diversi modi.
Anzitutto c’è il simbolico linguaggio dei gesti.
Tocca
al Sacerdozio
Per
esempio, il papa argentino non ha mai voluto celebrare la “Messa in coena Domini”
in Laterano col clero romano. Era tradizione dei papi lavare i piedi a
dodici preti romani perché il giovedì santo si fa memoria dell’istituzione dei
sacramenti dell’eucaristia e dell’ordine sacerdotale, connessi l’uno
all’altro. Invece i giovedì santi bergogliani sono stati dedicati alla
lavanda dei piedi di immigrati di tutte le religioni da parte del papa (sempre
in favore di telecamera).
Poi
c’è la delegittimazione del celibato ecclesiastico, a proposito del quale
Bergoglio ebbe a dire: “Non essendo un dogma di fede, c’è sempre la porta
aperta”.
Ma c’è
pure chi spinge per l’ordinazione delle donne. Su questo Bergoglio sa che
la strada gli è sbarrata dalla Lettera Apostolica “Ordinatio Sacerdotalis” di
Giovanni Paolo II che – in continuità con tutto il magistero della Chiesa – ha
definito “infallibilmente” l’esclusività maschile dell’ordinazione.
Può
forse essere aggirata con il diaconato alle donne? Ieri qualcuno deve averlo
pensato leggendo i siti dei giornali di tutto il mondo che annunciavano “il papa
apre alle donne diacono”.
Bergoglio
vuole istituire una Commissione per studiare la cosa. Ma dovrebbe sapere che
una tale “commissione” c’è già stata e lavorò per dieci anni, pubblicando le
conclusioni nel 2003. Dunque non c’è più nulla da chiarire e studiare.
Come
stanno le cose
Il
professor Roberto De Mattei, storico della Chiesa, spiega:
“Fin
dalle origini la gerarchia apostolica istituita da Gesù Cristo ebbe tre gradi:
diaconi, presbiteri e vescovi. Questo ministero ecclesiastico è di
diritto divino e ha natura sacramentale. Fin dall’inizio la partecipazione a
questo ministero fu riservata ai soli battezzati maschi. Le cosiddette
‘diaconesse’ dei primi secoli non ricevevano alcuna ordinazione sacramentale, e
non avevano niente a che fare con questa sacra gerarchia, come spiega
sant’Epifanio, nel suo Panarion, e san Tommaso nella Summa Theologica”.
Dunque
da sempre “la tradizione e la prassi” della Chiesa sono chiare e univoche. De
Mattei aggiunge:
“Nei
primi secoli della Chiesa furono gli eretici (gnostici, marcioniti, montanisti)
ad inserire le donne nella gerarchia ecclesiastica, ammettendole ai compiti del
predicatore o del sacerdote. A questi eretici i Padri della Chiesa hanno sempre
opposto il comportamento di Gesù che scelse gli Apostoli solo tra gli uomini e
non affidò a Maria alcun ministero all’interno della Chiesa, pur costituendone
Ella il cuore. Infatti, come afferma papa Innocenzo III, ‘anche se la
beatissima Vergine Maria si trova in un grado più alto ed è più di tutti gli
apostoli messi insieme, il Signore non ha affidato a lei, ma agli apostoli, le
chiavi del regno’ “.
Ma
qual è allora il senso di questa nuova “apertura” di Bergoglio? Semplice.
Cosa
sta accadendo
Fino a
Benedetto XVI la Chiesa è stata un ostacolo (katéchon) per certi poteri
mondani. Chi ha spinto per “dimissionare” Benedetto e lanciare Bergoglio vuole
omologare la Chiesa al mondo, diluendola nell’ideologia dominante.
Bergoglio
dice che tale “adeguamento” serve per permettere alla fede cristiana di
raggiungere gli uomini moderni. Ma i fatti dimostrano l’esatto contrario,
dicono che è un suicidio. Le confessioni protestanti che sono andate in
questa direzione modernista sono alla canna del gas, ormai irrilevanti e
inesistenti.
Al
contrario – come ha rilevato il sociologo americano Rodney Stark – dove e
quando si propone una vita cristiana impegnativa e rigorosa, con una forte
connotazione ideale, fedele al Vangelo, si ha una risposta (anche vocazionale)
straordinaria.
La
strada da intraprendere per la Chiesa sarebbe dunque chiara. Ma la via scelta
da Bergoglio è invece quella della resa alle ideologie mondane. Egli imita
le confessioni protestanti con cui – peraltro – Bergoglio prospetta una specie
di ricongiungimento nel 2017, in occasione dei 500 anni dal devastante scisma
luterano.
Anche
la scelta bergogliana di abbandonare e rinnegare tutte le battaglie pubbliche
sui “principi non negoziabili” ha questa ragione: non ostacolare l’ideologia e
i poteri dominanti. Per questo Bergoglio ha (mal)trattato con gelido disprezzo
il Family day e la recente “Marcia per la vita”.
Egli
preferisce loro il Centro sociale Leoncavallo e cavalca le battaglie
“politically correct” amplificate dai media: immigrati, ecologia, riscaldamento
globale, ecumenismo.
La
legge Bergoglio
Il
caso della recente legge sulle unioni gay è emblematico. A vararla è stato il
trio Renzi-Boschi-Alfano, cioè tre “cattolici”. Nessuno di loro – se non
altro per motivi di bottega elettorale – avrebbe firmato un’operazione simile
avendo contro la Chiesa. Con Benedetto XVI, per capirci, non sarebbe accaduto.
Invece
da Bergoglio hanno avuto rassicurazioni: egli disse che su queste materie “io
non m’immischio” (mentre però s’immischiava nelle presidenziali americane
bombardando Trump per il tema dell’emigrazione).
Poi il
sì bergogliano alle unioni gay è stato addirittura messo nero su bianco in
quella “Amoris laetitia” che è un vero manifesto per la demolizione della
Chiesa.
Leggere
per credere: “Dobbiamo riconoscere la grande varietà di situazioni familiari
che possono offrire una certa regola di vita, ma le unioni di fatto o tra
persone dello stesso sesso, per esempio, non si possono equiparare
semplicisticamente al matrimonio.” (n. 52)
Attenzione
alla furbizia gesuitica. Solo in apparenza qua si nega il riconoscimento. In
realtà queste parole implicano: (1) che “le unioni omosessuali” fanno parte
della “grande varietà di situazioni familiari” da “riconoscere” (fino a ieri la
Chiesa affermava che esiste una sola famiglia); (2) che “le unioni dello stesso
sesso” offrono una “certa regola di vita (stabilità)” e (3) che “le unioni
omosessuali” possono essere “equiparate” al matrimonio, però non in maniera
“semplicistica”: con qualche finzione.
E’
precisamente quanto fa la legge appena approvata, che di fatto equipare le
unioni gay al matrimonio senza dirlo ufficialmente.
Mons.
Galantino ha finto una “protesta”, ma – attenzione – sul metodo di
approvazione, non sul merito. Era un modo per salvare le apparenze di fronte ai
cattolici, come ha scritto Marcello Sorgi sulla “Stampa”. La solita furbatella
bergogliana.
Chi ha
capito benissimo che con Bergoglio ci troviamo davanti a un’ “altra Chiesa”
(non più cattolica) è Emma Bonino che dichiara: “questa Chiesa non ha nulla a
che vedere con la veemenza intrusiva di Ruini”.
E
infatti il titolo della sua intervista sulla “Stampa” è: “Ora avanti con
eutanasia, cannabis, cittadinanza e asilo”.
Bergoglio
e la “sua” chiesa non saranno certo d’ostacolo. I papi per duemila anni hanno
detto di seguire l’esempio dei santi, ma invece il “papa argentino” di recente
ha indicato proprio la Bonino e Napolitano come i “grandi italiani” da
ammirare.
(Fonte:
Antonio Socci, Libero,
13 maggio 2016).
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