Siamo ormai al parossismo. "Dilaga la protesta nelle scuole", recita a memoria la giornalista del Tiggì Tre. Quanto poi questa protesta sia veramente consapevole, o quanto sia strumentalizzata (fidatevi, vedo quello che accade dalle mie parti), in fondo è poco importante per un giornalista.
Come accade di solito, in questi casi la vera assente è la scuola. Cioè, la gente va in piazza, fa casino, occupa, ma gratta gratta il problema vero non è la scuola in sé, ma la conservazione dei posti di lavoro (allora è un altro discorso!). Perché poi, se vai a parlare magari con i ragazzi che aderiscono agli scioperi, anche quelli più consapevoli (o meno indifferenti di altri) concordano sul voto in condotta (evidentemente c'è un'esigenza generale che la Gelmini ha intercettato), oppure sul fatto che nel corpo docente deve cominciare ad esserci qualità, più che quantità (che è appunto quello che dice la Gelmini).
Quelli che difendono il sistema delle tre maestre s'incartano da soli. Dicono che il segmento delle elementari è quello che, storicamente, in Italia funziona meglio. E allora non si capisce perché nel 1990 lo stravolsero loro, imponendo (unici in Europa) le tre maestre. In fin dei conti la Gelmini rimette in piedi il sistema che, storicamente, ci ha dato grossi risultati. Mentre dagli anni Novanta in poi abbiamo perso molte posizioni. Ma di questo abbiamo già parlato.
Oggi si parla dell'altra questione spinosa e "scandalosa": la proposta delle "classi ponte". In pratica è questo: gli studenti stranieri, che si rivolgono al nostro sistema scolastico, e che non conoscono una parola una d'italiano, prima di essere immessi in una classe devono fare un percorso personalizzato. Devono imparare a comprendere, parlare e scrivere l'italiano, per poi continuare il regolare percorso di studi. Per chi conosce la scuola, per chi lavora nella scuola, e non cammina coi paraocchi dell'ideologia, si tratta di una proposta intelligente, efficace, utilissima. L'unico vero problema è che ha un marchio "infamante" d'origine: è stata avanzata da quei "razzisti" di destra. Dunque, anche in questo caso l'efficacia scolastica passa in secondo piano. In primo piano c'è la polemica politica, la strumentalizzazione politica, lo sciopero contro la Gelmini, la manifestazione di piazza di Veltroni contro il governo.
Tant'è che anche l'intellettuale di sinistra serio e riflessivo, se prova ad uscire da questo infernale tifo politico, confessa amaramente che il "problema stranieri" nella scuola esiste. Giorni fa in un'intervista del Corriere della Sera, lo scrittore Sandro Veronesi (quello di "Caos calmo") confessava candidamente che "la classi separate ci sono già, solo che non sono gli stranieri ad essere mandati via".
Già, proprio così. Sono gli italiani ad andarsene, per non essere abbandonati in una classe a maggioranza straniera, che ha altri problemi, altri ritmi, altre esigenze. Ma voi ce lo mettereste vostro figlio ad aspettare tutto l'anno che il bimbo cinese impari a parlare quella lingua che lui sa già? Veronesi abita a Prato, e lì la gente ha a che fare con i cinesi. I genitori prendono i propri figli e li portano altrove, "perché in effetti quel caso crea problemi: le prime classi dell'obbligo sono fondamentali, si rischia di restare indietro". Detto da un intellettuale di sinistra, uno che non è razzista per definizione.
Allora, come la mettiamo? Che senso ha montare su un gran casino solo perché qualcuno dice: la scuola italiana offrirà ai bimbi stranieri che non conoscono l'italiano una classe dedicata a colmare le lacune linguistiche? Una classe-ponte dove magari troveranno dei docenti specializzati nell'insegnamento dell'italiano agli stranieri (perché questo tipo d'insegnamento non s'improvvisa e non lo si può pretendere da tutti) e magari (aggiungo io) potrebbero anche essere avviati ad una comprensione degli usi, dei costumi, della tradizione, della cultura di un paese così diverso dal loro?
La realtà ce l'ho avuta sotto gli occhi. Il ragazzo che non conosce l'italiano è un emarginato, un isolato. Per forza di cose. L'insegnante (che ha già tanti problemi con gli italiani) non riesce a seguirlo come meriterebbe. E il ragazzo tende a fare ghetto con i suoi connazionali. Questa è la realtà. Non è ideologia, né propaganda politica.
Non capisco dove sia il vantaggio di questo sistema. Non capisco dove sia lo scandalo di proporre qualcosa di nuovo. E poi, scusate, ma cosa diavolo c'entra il razzismo? Qui si sta parlando di "dedicare" delle classi e degli insegnamenti personalizzati a degli studenti stranieri, a spese del sistema pubblico d'istruzione, per poi immetterli nelle classi degli italiani una volta che abbiano acquisito il possesso sicuro della lingua, principio di ogni integrazione.
Non sarà certo l'isterico richiamo al razzismo (che non c'entra niente) a farci portare il cervello all'ammasso, e a non farci riconoscere che la proposta è buona e sensata. (Gianluca Zappa, La Cittadella, 23 ottobre 2008)
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