Questo è un pezzo che avrei voluto scrivere già qualche tempo addietro.
Anche a Viterbo, la mobilitazione dei cultori locali del “libero pensiero” ha ottenuto, dopo lunga battaglia, che una post-risorgimentale lapide commemorativa di Giordano Bruno tornasse a campeggiare nella piazza Mario Fani. Poiché siamo un popolo buonista e non diciamo di no a nessuno, entrambe le lapidi ora troneggiano su di un muro al centro della piazza: il nolano Giordano Bruno, campione del libero pensiero, accanto al viterbese Mario Fani, fondatore dell’Azione Cattolica… Ma siamo anche un popolo di organizzatori di manifestazioni e di conseguenza non poteva mancare una bella manifestazioncina indetta (testualmente) per “commemorare e ricordare il grande filosofo e scienziato che ebbe il solo torto di non allinearsi ai dogmi della fede sostenuti dalla Chiesa cattolica”.
Se desta nell’animo un moto di orrore la triste fine del grande filosofo e mago del rinascimento, intristisce anche non poco il secolare stravolgimento della sua figura, diventata (lui che fu alchimista e mago…) la bandiera addirittura del pensiero razionalista.
Odiava le donne, che reputava idiote, e si riferiva agli ebrei come agli “escrementi d'Egitto”, ma per la vulgata corrente resta il campione del libero pensiero e l'anticipatore dell'epoca dei lumi. E’ che la tragica morte lo ha sottratto alla verità del suo tempo, un tempo oscuro e tragico per molti e dimenticati aspetti.
Se allarghiamo lo sguardo oltre i ristretti confini nazionali, vediamo, ad esempio, lo scatenarsi della persecuzione contro i cattolici inglesi, che travolgerà una figura straordinaria come sir Thomas Moore e tantissimi altri meno conosciuti. Della maggior parte di queste vittime e delle circostanze per le quali furono spedite al patibolo è stata accuratamente cancellata persino la memoria. Enrico VIII e sua figlia Elisabetta I recidono il legame della Chiesa inglese con Roma e danno vita ad una chiesa nazionale (anglicana, appunto) sottoposta all’autorità del sovrano e per questo docile strumento della sua volontà.
Un’epoca a lungo celebrata come un periodo di splendore (“the golden age”), mentre ora una generazione di giovani storici inglesi mette in discussione i dogmi del passato. Anzi, gli studi più recenti hanno praticamente smontato, pezzo per pezzo, l’immagine propagandistica di un paese felice di accogliere la Riforma. Si trattò di un passaggio estremamente violento, oggi si direbbe rivoluzionario, che pur se pilotato dalla corona e pertanto dietro l’apparenza della continuità istituzionale e della legalità, ebbe il significato di una rottura radicale con il passato (non solo cattolico) del paese.
Ma cosa c’entrano le vicende dell’Inghilterra di Enrico VIII e di Elisabetta I con il filosofo nolano? Per capirlo ci si deve riferire all’opera di uno dei suddetti storici, John Bossy, professore emerito presso l’Università di York, il quale scavando nei retroscena dello scisma anglicano e della persecuzione religiosa che ne seguì, ha finito per imbattersi proprio nella figura di Giordano Bruno. Perché Giordano Bruno trascorse parte della propria vita in Inghilterra e proprio a Londra scrisse alcuni dei suoi più celebrati capolavori: “La cena delle Ceneri” e “Gli eroici furori”.
A Londra Bruno incontrò John Dee, considerato il più grande negromante di tutti i tempi. A Londra conobbe la regina Elisabetta I, celebrata da una scelta cerchia di intellettuali e collaboratori come una sorta di triplice dea: “Astrea”, dea della giustizia e dell’età dell’oro; “Diana”, vergine cacciatrice e bianca dea della luna; “Gloriana”, regina delle fate… Chi ha visto il film “Elizabeth”, del regista anglo-indiano Shekar Shapur, avrà colto la forza della scena finale della pellicola, quando in una cappella abbandonata, di fronte ad un collaboratore in atteggiamento di deferenza, Elisabetta si mostra con il viso bianco del colore della luna. In disparte, si nota la statua di marmo danneggiata della Vergine Maria. Astrea venerata al posto di Maria... un’immagine che riassume da sola il programma ideologico e propagandistico del suo regno. I tempi erano quelli che erano ed Elisabetta non si fece scrupolo di far assassinare la cugina Maria Stuarda per garantirsi la propria successione al trono. I nemici della regina furono sterminati con il ricorso ad ogni sistema, dalla tortura alle spie.
Una di queste spie fu tal Henry Fagot, le cui rivelazioni costarono la vita a numerosi cattolici inglesi. Era un suo confidente il segretario dell’ambasciatore francese a Londra, Michel de Castelnau, e grazie a ciò, Fagot potè trasmettere a Sir Francis Walsingham documenti di notevole importanza, comprese le lettere che Castelnau inviava alla regina Maria Stuarda. Ciò portò all’arresto di una figura chiave per la resistenza cattolica, sir Francis Throckmorton, il quale, sottoposto a crudeli torture, rivelò i dettagli di una congiura.
E’ curioso il fatto che anche Giordano Bruno fosse ospite a Londra presso la residenza di Michel de Castelnau e che il primo rapporto di Fagot a Walsingham sia di poco successivo all’arrivo in quella casa del filosofo nolano… ufficialmente il suo ruolo doveva essere più o meno quello di un ambasciatore di pace, ma su questo punto Bossy scrive: “Non credo affatto che Bruno sia stato inviato in Inghilterra dal re di Francia Enrico III, allo scopo di favorire una riconciliazione politica e religiosa tra i due Stati. Non esistono prove a conforto di questa teoria che oltretutto è alquanto improbabile. Sono ben pochi, se ce ne sono, gli storici seri che oggi l'accetterebbero”.
Qual era allora la missione che aveva condotto a Londra il noto filosofo italiano? E’ noto che a quell'epoca Giordano Bruno avesse stretto amicizia con sir Philip Sidney, un fanatico assertore dell’idea che si dovesse condurre una crociata protestante per sradicare il Cattolicesimo. E Sidney era il genero di sir Francis Walsingham, stretto collaboratore della regina, l’uomo che teneva le fila di tutto l’apparato repressivo dello stato, il destinatario delle informazioni trasmesse dalla misteriosa spia “Fagot”. Strane coincidenze…
Ma a questo punto è importante indagare riguardo all’identità del misterioso Fagot. Henry Fagot infatti non è un personaggio reale, il nome corrisponde ad uno pseudonimo che nell’inglese del tempo si sarebbe tradotto più o meno come “Enrico il chiacchierone”. Dalla sua corrispondenza con Walsingham, ben conservata negli archivi britannici, e dottamente commentata da Bossy, si capisce che Fagot era in realtà un italiano, uno che conosceva il francese parlato, ma non altrettanto bene quello scritto, un sacerdote cattolico, sebbene accesamente antipapista… insomma più o meno il ritratto di Giordano Bruno. Last but not least, Fagot, ospite di De Castelnau ed intimo del suo segretario, pur scrivendo i suoi rapporti dall’interno della residenza dell’ambasciatore francese, non menziona mai Bruno il quale era anche lui ospite illustre di quella stessa casa… un silenzio carico di significato.
Per il suo libro del 1991 “Giordano Bruno and the Embassy Affair” Bossy è stato insignito del prestigioso Wolfson Award ed in questo libro dimostra ciò che per certi aspetti è sempre parso evidente, ma mai era stato oggetto di approfondimento, soprattutto in Italia, che Giordano Bruno, ovvero, fosse la spia al soldo di sir Francis Walsingham responsabile della rovina dei Cattolici inglesi e che Fagot e Bruno fossero in realtà la stessa persona.
Non necessita di spiegazioni il fatto che Bruno, in quanto spia, dovesse servirsi di uno pseudonimo, d’altra parte questa doppia identità doveva riuscirgli congeniale dato che è noto che amasse fregiarsi di strani soprannomi al punto da esser definito “l’uomo dagli infiniti soprannomi”. Bruno era inoltre una spia preziosa, una pedina importante: conosciuto a Londra come prete cattolico poteva avere accesso a confidenze da parte degli esponenti fedeli a Roma dell’isola; la lettera di presentazione di Enrico III poi lo poneva al di sopra di ogni sospetto presso l’ambasciatore francese con i suoi protetti e collaboratori…
Cade così (anzi per la verità era già caduta da diversi anni) l’immagine idealizzata di Giordano Bruno, martire del libero pensiero. Resta il fascino della sua riflessione, le sue notevoli intuizioni sulla psiche o sul cosmo… ma ciò non toglie che si trattasse di una figura oscura, una personalità tanto brillante quanto ambigua. Al tempo stesso, come ha scritto lo storico Alberto Leoni, “era sincero quando rivendicava la libertà di ricerca e di pensiero, ma solo per se stesso, giacché anche Giovanni Gentile ammise che Bruno non aveva mai creduto nell'autonomia della coscienza individuale”. (Stefano, La Cittadella, 20 ottobre 2008)
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