venerdì 16 gennaio 2009

Ai rabbini d'Italia questo papa non piace

Non gradiscono né la nuova preghiera del Venerdì Santo, né la via di dialogo aperta da Benedetto XVI nel libro "Gesù di Nazaret". E si dissociano dalla giornata per l'ebraismo indetta dai vescovi. Ma tra loro non tutti la pensano così.
Il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa, ipotizzato per maggio, si auspica che attenui le reciproche incomprensioni. Intanto, però, soprattutto per l'intransigenza israeliana, non fanno passi avanti i negoziati per dare attuazione pratica agli accordi del 1993 tra la Santa Sede e Israele. Né si intravede alcuna disponibilità a rimuovere, nel museo della Shoah a Gerusalemme, la didascalia che squalifica Pio XII come complice dello sterminio nazista degli ebrei. Ma anche sul terreno più strettamente religioso il rapporto tra le due parti è accidentato. Per il 17 gennaio la conferenza episcopale italiana ha indetto la "Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei". Dal 1990 questa giornata si tiene tutti gli anni, dal 2001 la comunità ebraica italiana la promuove assieme ai vescovi e dal 2005 entrambe le parti hanno concordato un programma decennale di riflessione sui Dieci Comandamenti. Ma questa volta la Chiesa cattolica si ritrova sola. L'assemblea dei rabbini italiani, presieduta da Giuseppe Laras, ha deciso di "sospendere" la partecipazione degli ebrei all'evento. Laras ha annunciato il ritiro dell'adesione lo scorso 18 novembre, durante un convegno sul dialogo interreligioso svoltosi a Roma alla camera dei deputati. E l'ha addebitata alla decisione di Benedetto XVI di introdurre nel rito romano antico del Venerdì Santo l'invocazione affinché Dio "illumini" i cuori degli ebrei, "perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini". Invocazione giudicata da Laras inaccettabile in quanto finalizzata alla conversione degli ebrei alla fede cristiana. Il 13 gennaio il rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, ha rincarato la protesta. Su "Popoli", la rivista missionaria dei gesuiti italiani, ha scritto che con Benedetto XVI "stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant'anni di storia della Chiesa". La conferenza episcopale italiana ha reagito mantenendo ferma la giornata di riflessione ebraico-cristiana – significativamente collocata alla vigilia dell'annuale settimana dell'unità dei cristiani – e pubblicando per l'occasione un documento che riassume le tappe del dialogo tra ebrei e cristiani nell'ultimo mezzo secolo, a partire dalla cancellazione, decisa da papa Giovanni XXIII nel 1959, dell'aggettivo latino "perfidi" (che propriamente significa "increduli") applicato agli ebrei nella preghiera del Venerdì Santo in vigore all'epoca. Nel documento è sottolineata l'importanza del testo vaticano pubblicato dall'allora cardinale Joseph Ratzinger nel 2001 col titolo "Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana". Questo testo, in effetti, è riconosciuto da autorevoli esponenti cattolici ed ebrei come il punto più alto e costruttivo fin qui raggiunto nel dialogo tra le due fedi, assieme al libro "Gesù di Nazaret" pubblicato nel 2007 dallo stesso Ratzinger, nel frattempo divenuto papa, nelle pagine dedicate alla divinità di Gesù: questione teologica capitale per gli ebrei di allora come di oggi, credenti in Cristo oppure no. In campo cattolico la via tracciata da Ratzinger nel dialogo con l'ebraismo non è da tutti accettata. Gli si oppone la cosiddetta "teologia della sostituzione", sia nelle versioni "di sinistra", filopalestinesi, sia in quelle "di destra", tradizionaliste. Secondo tale teologia, l'alleanza con Israele è stata revocata da Dio e solo la Chiesa è il nuovo popolo eletto. In taluni tale visione arriva sino a un rigetto sostanziale dell'Antico Testamento. Ma anche in campo ebraico vi sono sensibili divergenze di vedute. Lo scorso novembre, quando Benedetto XVI fece colpo affermando che "un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale", a sorpresa il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni (nella foto), si dichiarò d'accordo col papa. E aggiunse che la decisione dell'assemblea dei rabbini italiani di sospendere l'adesione alla giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio andava anch'essa in questa direzione: "rimuovere l'equivoco che si debba dialogare tra cristiani ed ebrei anche sul piano teologico". Rispetto al predecessore Elio Toaff – quello del celebre abbraccio con Giovanni Paolo II in sinagoga – Di Segni ha inaugurato una dirigenza del rabbinato in Italia meno laica e più identitaria, più osservante di riti e precetti, e di conseguenza più conflittuale col papato sul versante religioso. Ma, appunto, non tutti gli ebrei la pensano così. Alcuni interpretano diversamente le riserve di Benedetto XVI sul dialogo interreligioso. Ritengono cioè che il papa, quando esclude "un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola", non si riferisca all'ebraismo ma soltanto alle religioni esterne al plesso ebraico-cristiano, cioè islam, induismo, buddismo, eccetera. E infatti – chiedono – "che cosa sono stati il documento del 2001 e il libro 'Gesù di Nazaret' se non un confronto sul terreno propriamente teologico con l'unica religione con cui il cristianesimo può farlo?". A formulare quest'ultima domanda – in una nota sul quotidiano "il Foglio" dell'11 gennaio – è stato Giorgio Israel, docente di matematica all'Università di Roma "La Sapienza" ed impegnato fautore del dialogo ebraico-cristiano in sintonia con l'attuale pontefice. Assieme a Guido Guastalla, assessore alla cultura della comunità ebraica di Livorno, Israel ha anche contestato pubblicamente, sul "Corriere della sera" del 26 novembre, la decisione di Laras e dell'assemblea dei rabbini di dissociarsi dalla giornata di riflessione ebraico-cristiana del 17 gennaio. A loro giudizio, la motivazione portata a sostegno del rifiuto, cioè la preghiera per gli ebrei formulata da Benedetto XVI per il rito antico del Venerdì Santo, non è più sostenibile dopo le chiarificazioni fatte in proposito dalle autorità vaticane, chiarificazioni accolte anche dal presidente dell'International Jewish Committee, il rabbino David Rosen. Hanno replicato a Israel e Guastalla, sul "Corriere della Sera" del 4 dicembre, il rabbino Laras, l'altro rabbino Amos Luzzatto e il presidente dell'Unione giovani ebrei d'Italia, Daniele Nahum. I tre hanno restituito alla Chiesa cattolica e in particolare al papa la colpa della rottura, hanno definito le posizioni di Benedetto XVI "una regressione rispetto alle conquiste scaturite dagli ultimi decenni di dialogo e collaborazione" e hanno accusato i loro critici di voler usare il dialogo ebraico-cristiano in funzione anti islam. Laras, Luzzatto e Nahum hanno concluso così la loro replica: "Si ricordi che i rapporti tra ebraismo e islam generalmente sono stati più proficui e sereni rispetto a quelli intercorsi tra ebraismo e cristianesimo". La storia ha il suo peso irremovibile. Ma riletti oggi, nel pieno della guerra di Gaza, questo omaggio all'islam e questa stilettata alla Chiesa suonano decisamente surreali.

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 16 gennaio 2009)

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