Cosa è successo? Dimenticando che Lumen gentium ha riaffermato che la Chiesa è il popolo di Dio gerarchicamente ordinato, si pratica una rimozione e una sorda opposizione al Magistero della Chiesa, costituito dall’inscindibile e necessario legame tra il Vescovo di una Chiesa particolare e il Supremo Pastore della Chiesa universale. Quasi possa essere concepibile una “responsabilità locale” non in stretta dipendenza e relazione teologica, e perciò giuridica, con il Supremo Pastore. Gli storici ritengono che tutto ciò sia incominciato nel 1968 con la contestazione all’enciclica di Paolo VI Humanae vitae.
Sebbene, grazie ai mass media, qualche spezzone – senza capo né coda – della parola del Papa arrivi a domicilio, i fedeli comuni hanno, tuttavia, il diritto di riceverla nella sua interezza da parte dei Pastori delle Chiese particolari e dei sacerdoti e laici loro collaboratori. Dagli Apostoli in poi, quel che ha fatto “funzionare” la Chiesa è stato l’assiduità all’insegnamento, una delle condizioni per diventare un cuor solo e un’anima sola. E’ la traditio o trasmissione della fede che avviene massimamente nella catechesi e nella liturgia, in specie nelle omelie. Senza tradizione della fede non c’è ricezione da parte dei fedeli. Il paradosso a cui si è giunti è che si parla tanto di ricezione dei documenti ecumenici, ma nello stesso tempo si mette il silenziatore o peggio si censura il magistero petrino. Giova sempre ricordare che il magistero del Vescovo è autentico solo se è in comunione effettiva (ed affettiva) con quello del Papa. A cinque anni dal Concilio, l’8 dicembre 1970, Paolo VI mise in guardia da “una tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un Cristianesimo avulso dalla tradizione ininterrotta che lo ricollega alla fede degli Apostoli, e ad esaltare una vita cristiana priva di elementi religiosi”.
Un tale fenomeno produce divisioni e contrapposizioni nella Chiesa. Forse i cattolici sono stati contagiati dall’autocefalia ortodossa e dal libero arbitrio protestante? Si è dato a credere che esista, come in politica, una diarchia o triarchia tra Roma, Costantinopoli e Mosca? Ma questo non ha nulla a che fare con i principi cattolici dell’ecumenismo enunciati dal Vaticano II.
Che dal mondo si debba attaccare la Chiesa, è fisiologico, ma che debba avvenire dall’interno, è preoccupante. Ciò infatti condiziona, almeno da un punto di vista umano, l’efficacia dell’evangelizzazione. Non di rado i fedeli quando ascoltano un sacerdote o un Vescovo predicare in modo difforme dal Papa, avvertono la confusione che ciò genera e domandano l’uniformità dell’insegnamento! È una opposizione e talora un disprezzo per la Chiesa odierna in nome di quella futura, una ermeneutica che va sempre un Papa indietro: si esalta oggi Giovanni Paolo II da parte di chi lo ha bollato come reazionario e conservatore mentre era in vita.
La disobbedienza è un peccato da confessare, anche perché finisce per causare nei fedeli l’indifferenza verso il Magistero, oltre alla confusione e al disorientamento. Solo il Magistero vivente, del Papa e dei Vescovi in comunione con Lui – sottolineiamo “in comunione con Lui”– costituisce l’orientamento sicuro della barca della Chiesa anche nel nostro tempo, al fine di aiutare a formare il giudizio di fede e di morale, per scegliere il bene e rifiutare il male alla luce della verità di Cristo. Lui ha affidato a Pietro “le mie pecore”, cioè tutte. Questa è l’ermeneutica cattolica.
(Fonte: Agenzia Fides, 22 gennaio 2009)
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