A segnare quel passaggio un patto non scritto tra democristiani di sinistra e comunisti. Cosa potevano essere quei cattolici che non riconoscevano nell’asse che andò da Scoppola al cardinal Martini (fondatore del laboratorio politico da cui sono usciti il top dei politici prodiani) l’aura della profezia? Coloro i quali non si davano da fare per separare irrimediabilmente la testimonianza del cristiano dall’adesione alla persona di Cristo e quindi alla Chiesa, cominciarono ad essere marchiati di «integralismo», «tradizionalismo», «antimodernità». All’inizio fu la stagione dei catto-comunisti, alla fine, secondo la definizione che ha dato dell’ultima schiera di alleati del governo unionista il vescovo di San Marino Luigi Negri, quella dei «catto-laicisti». L’aporia era evidente: come si fa a dire «Signore, Signore», andare in giro col collo torto della devozione e poi muovere guerra alla identità, cultura e missione della propria Chiesa?
Si pensi al cardinal Camillo Ruini, ex capo della Cei, che per oltre vent’anni ha dovuto assaporare il calice amaro dell’intolleranza catto-democrat. La sua colpa? Aver tenuto la barra dritta, alla sequela del Papa, in tempi in cui la Chiesa, per dirla con Paolo VI, ha vissuto con lo «zolfo in seno» e con «un pensiero non cattolico» al suo interno che pretendeva dettare legge in pubblico e il modo di interpretare i sacramenti in chiesa. L’invito a cambiar musica ora viene dal capo supremo, il Papa. Mai era capitato di sentire un Pontefice pronunciare una richiesta così esplicita di ricambio di un’intera classe di cattolici impegnati in politica. Certo, è un dramma. Dev’essere un dramma sentirsi invitati a farsi da parte dalla massima autorità ecclesiale, dopo che si è già stati messi da parte dall’elettore, massima autorità popolare. Ma gli saranno fischiate le orecchie ai cosiddetti «cattolici adulti»? Chissà. È difficile che gli uomini imparino quello che già credono di sapere.
Analoghe riflessioni si potrebbero fare per politici autoproclamatisi cattolici d’antan, persone per bene come Rosy Bindi, Franco Monaco, Giuseppe Fioroni, Maria Pia Garavaglia, e tutta quella pars magna di protagonisti di una grande storia (a proposito, avete più sentito parlare di un certo Marco Follini?) cominciata sotto la parte sinistra dello scudo crociato. E finita sotto la parte destra dell’armata Brancaleone unionista e, oggi, partitodemocratica. Da cattolici avrebbero potuto comprendere le ragioni della difesa pubblica, gagliarda, volitiva, della scuola libera, della vita, della famiglia, dell’alleanza tra uomo e donna.
E invece li abbiamo visti perdersi nelle manfrine della politica politicante. Li abbiamo visti, ansiosi e presuntuosi, provare a spiegare al Papa e alla Chiesa, come capitò più volte alla povera Rosy Bindi, cosa c’è che non va nel pontificato e cosa si dovrebbe aggiornare nella dottrina sociale della Chiesa. Li si è visti impostare la sanità guardando al modello Cuba e chiedere di superare la legge 40 in nome delle prediche domenicali di Eugenio Scalfari. Li si è visti preoccupati di non scontentare il partito (ed ecco spiegata la necessità dei Dico) e attenti alle battaglie per la buona morte, più che a quelle per la buona vita.
Tutto ciò in nome di una equivoca idea di rispetto delle idee altrui. In nome di un cristianesimo che, come in un romanzo di Gogol, invoca i puri valori a parole. E poi, nei fatti, fa della politica commercio. Un cristianesimo che si condanna all’autoesclusione della società in cambio di una posizione dominante. Che tutto ciò fosse protesi, artificio, «fiore sulle catene» (come direbbe Marx), lo ha scoperto definitivamente un Papa. Nel cui sottotesto, io leggo che dovevano dargli il 6, altro che il 7 in condotta, a quei donmazzisti che hanno scambiato la fede per la postura buonista e, naturalmente, uno scranno scettrato nel pubblico agone. Accomunati da un’idea di laicità intesa come complesso di inferiorità ai laici a tutto tondo (quelli cioè senza remore religiose), i cattolici che hanno visto i loro Mosè nei leader della sinistra da Berlinguer in avanti, sono anche stati i protagonisti della messa in mora e della riduzione allo stato confusionale di tanto popolo cattolico. Questa è forse la responsabilità più grave e la spiegazione più seria a parole così epocali del Papa.
Ieri, alla fine di una messa in una parrocchia di Monza, tra gli avvisi dati dal parroco, mi ha colpito questo: «Domani, ore 15, riunione del gruppo adulti impegnati. Ex terza età». Chissà perché, dopo le parole sentite da Benedetto XVI, ho subito pensato a Romano Prodi e ai suoi aficionados.
(Fonte: Luigi Amicone, Il Giornale, 8 settembre 2008)
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