Secondo l’Arcigay (organizzazione che, tanto per mettere subito in chiaro le cose, appare oggi vicina ai partiti della sinistra radicale e comunista) Roberto Bolle avrebbe fatto finalmente “outing”, così almeno ha enfaticamente annunciato il presidente dell’associazione Aurelio Mancuso, aggiungendo che il ballerino si sarebbe rivelato ad una rivista francese (Numerò Homme) e non ad una italiana “a causa del potere conservatore della Chiesa”. Un’affermazione, quest’ultima, francamente gratuita e ridicola, buona tutt’al più per chi abbia qualche difficoltà a far uso del dono dell’intelligenza. Ma, soprattutto, un’affermazione costruita sulla base di una grave forzatura delle parole del ballerino e quindi sulla falsificazione dei fatti accaduti. Bolle infatti ha smentito, con alcune significative dichiarazione che hanno fatto il giro di blog e giornali: “Sono molto dispiaciuto (…) in realtà la mia dichiarazione riguardo l’argomento della omosessualità è stata completamente travisata (…). Non ho mai parlato della mia sfera privata e non intendo iniziare ora, per cui la notizia del mio presunto outing non corrisponde a verità (…) non rilascio mai dichiarazioni sulla mia sessualità e su quella di terzi e non credo che questo faccia parte dei doveri sociali degli artisti e dei personaggi pubblici”.
Questa smentita è importante perché consente di capire a chiunque non sia uno sprovveduto quale sia stata la strategia seguita dall’organizzazione di Mancuso e Grillini: forzare le parole di Roberto Bolle per comprometterlo, sottoporlo a pressione mediatica per costringerlo a confessare una vera o presunta omosessualità, fargli sapere cosa ci si attende che lui dica...
Perché, con metodi degni dell’epoca del comunismo sovietico, accade oggi che gli attivisti dell’Arcigay tallonino gli omosessuali (veri o presunti) per far sentire loro il fiato sul collo, perché confessino e si dichiarino pubblicamente, compromettendo il proprio privato per il supremo bene della causa. Non c’è pudore o riservatezza che tengano (a Bolle hanno pure chiesto se come Nureyev nutrisse la passione per cose “particolari” in campo sessuale… ), non c’è più privacy o diritto alla tutela della propria sfera personale quando c’è di mezzo la causa…
Sembra pertanto di essere ritornati a Lenin, quando catechizzava i militanti bolscevichi ed insegnava loro che un vero rivoluzionario non ha diritto ad una vita privata, anzi, ogni suo pensiero, ogni sua azione, sono finalizzati al successo della rivoluzione. E’ la causa rivoluzionaria infatti il parametro morale unico di riferimento e per questo la vita intima di un rivoluzionario non appartiene più a lui stesso ma appartiene solo al partito. Paiono oggettivamente notevoli le concordanze con il mancusopensiero, in particolare laddove si vuol sostenere il presunto dovere sociale da parte degli artisti a fare outing, ed il tutto condito con parole d’ordine ed entusiasmi degni della burocrazia bolscevica degli anni ’20 (è “un'occasione d'oro per fare del ballerino, che mai aveva confermato la sua omosessualità, un portavoce della causa omosessuale”).
Deve essere terribile vivere in un contesto simile, dove devi confessare pubblicamente quello che ti viene suggerito da un’organizzazione che, seppure privata, pretende di rappresentare te ed il tuo mondo interiore, e senza sapere neppure esattamente chi sei e cosa pensi davvero. E devi conformarti all’agire ortodosso che ti viene indicato a mezzo stampa da un qualche “Lenin de noantri”, che altrimenti incorri nella gogna pubblica già auspicata dall’attivista Peter Tatchell: “Le donne lesbiche e gli uomini gay hanno un diritto ed un dovere, smascherare gli ipocriti…”. Perché proteggere la propria interiorità per loro è sempre e solo ipocrisia ed il pudore è una malattia…
Ma, naturalmente, tutto questo è per il bene della causa, dove il bene della causa lo sanno e lo decidono loro, quelli dell’organizzazione…
(Fonte: Stefano, La Cittadella, 30 gennaio 2009)
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