In confronto Goebbels era un fanciullino. L’insieme di retoriche azionate a comando e vittoriosamente nel caso della ragazza presa di forza per sentenza giudiziaria e messa a morte senza moratoria si fondava sull’alone tragico del dolore di un padre. Sfida morale azzardata ma a suo modo grandiosa. L’agorà e la vita pubblica di un paese e delle sue istituzioni al servizio di una grande storia privata. Beppino ci aveva sempre assicurato di questo che solo contava per lui: offro la mia voce di padre a una bella ragazza, mia figlia, che mai avrebbe voluto vivere così, e basta. Invece niente basta. Beppino dava voce a se stesso, e perfino ai suoi ricordi ideologico-politici rispolverati a nemmeno due settimane dall’esecuzione pubblica di sua figlia, e dunque dava voce alla coorte dei suoi consiglieri e medici e specialisti e politici che hanno aspettato il giorno della morte di Eluana per scatenarsi e dire finalmente in pubblico la verità: è stata una nuova Porta Pia, un avanzamento nella eterna lotta dello spirito umano contro l’oscurantismo della chiesa. Loris Fortuna, il divorzio, l’aborto e poi, perché no?, l’eutanasia.
La famiglia Andreatta ha accudito nove anni il congiunto. Ha aspettato che arrivasse la sua ora senza violare il mistero, anche scientifico, di quel sonno. Ha fatto in tempo ad accompagnare Giorgio Napolitano, in visita a Bologna, al suo capezzale. Segno che Beniamino Andreatta era tanto vivo da potersi permettere una visita del capo dello stato, capace di firmare il registro degli ospiti ma non il decreto del governo per la ragazza. Non c’è stato chiasso, c’è stato rispetto intorno a quel letto. Un lungo silenzio di nove anni ha scandito un tempo di vita così particolare, dolori così particolari e privati. Nel caso in questione, invece, c’è stata una continua richiesta di silenzio, il silenzio come silenziamento delle ragioni degli altri, e un grande chiasso. E una continua richiesta di rispetto, ma nessun rispetto. Chi come alcuni di noi voleva lasciare Eluana Englaro alle suore che la accudivano ha espresso le sue idee con le corde vocali tarate sul dogma fuori discussione della sua libertà, espressa dalla voce del padre che parlava a nome della figlia. Eluana voleva evadere da quella prigione della carità cristiana, voleva essere “liberata”. Ma no, illusione, in un paese di bari come il nostro era chiaro quello che si poteva sospettare ma non si doveva dire: la voce non era quella di Eluana, era quella di Loris Fortuna e del suo devoto papà Beppino, pronto al comizio e al talk show, naturalmente per dare voce a tutti gli altri dopo Eluana.
È dunque acclarato che è stata compiuta una gigantesca operazione politica, giurisdizionale, ideologica e religiosa brandendo come strumento il corpo di una ragazza e un padre chino nell’ascolto della sua voce giovanile. Eppure, ecco perché dico che Goebbels al loro confronto era un fanciullino, sono riusciti a diffondere l’idea che fossero i preti e lo stato e altri orrendi devoti, nella figura di un papa tedesco e di un premier caudillo, ad accanirsi sul corpo di una ragazza e a violare un dolore privato. Bestiale. Chi accudiva quel corpo e desiderava rifornirlo di cibo e di acqua; chi non sarebbe mai uscito dal silenzio rispettoso che lo circondava, alla Andreatta, è stato imputato di estremismo chiassoso, di strumentalismo politico bieco, di uso di un corpo di donna a scopi ideologici. Chi ha messo in piedi il grande circo mediatico giudiziario, chi ha perseguito per la ragazza il destino dell’eutanasia passiva o, se preferite fidarvi di un baro, “l’omicidio del consenziente”; chi ha mentito dall’inizio alla fine, scambiando in una tragicommedia di imposture la propria flebile voce con la possente e simbolica voce di lei, passa o dovrebbe passare per rispettoso curatore e tutore della libertà di coscienza. Non ho mai provato un simile schifo in vita mia.
(Fonte: il Foglio, 22 febbraio 2009)
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