Ma insomma, chi sono questi giudici della Corte di Cassazione che da un paio di anni a questa parte stanno emettendo le sentenze più strampalate nel nome del popolo italiano? Le pronunce che hanno reso possibile la soppressione fisica di Eluana Englaro e ora hanno mandato assolto Luigi Tosti, il giudice che si rifiuta di compiere il suo dovere se nell’aula del tribunale è presente un crocifisso, sono solo le ultime perle di un’incredibile collana che è stata prodotta in un tempo relativamente breve. A dare una scorsa ad alcuni dei recenti giudizi viene da pensare che alle sezioni della Corte siedano più spesso Pippo, Pluto, John Lennon e Lidia Ravera che non magistrati di lungo corso e profonda dottrina.Il giudice di Camerino, condannato a sette mesi di reclusione e un anno di interdizione dai pubblici uffici per interruzione di pubblico servizio e omissione di atti d’ufficio dalla Corte d’Appello dell’Aquila per uno dei suoi rifiuti a giudicare in presenza di Cristo in croce, è stato riabilitato dalla Sesta sezione penale della Corte di Cassazione, che ha stabilito che semplicemente «il fatto non sussiste». Le motivazioni non sono ancora note, ma forse coincidono con quelle per le quali il Sostituto procuratore aveva chiesto l’annullamento della sentenza con rinvio, e cioè che il servizio non fu in realtà interrotto, poichè un altro magistrato aveva sostituito Tosti. Da cui si deduce che se da domani qualche impiegato pubblico si rifiuterà di fornire i servizi a lui richiesti da un utente rom, o ebreo, o africano, potrà evitare una condanna per omissione di atti d’ufficio o per interruzione di pubblico servizio se troverà un collega disposto ad accollarsi l’incombenza che lui ha schifato.L’exploit più noto della Cassazione è senz’altro la sentenza n. 21748 depositata il 16 ottobre scorso, dove in 60 pagine la Corte ha spiegato che Eluana Englaro poteva essere fatta morire di sete perché idratazione e alimentazione artificiale sono trattamenti sanitari, e in quanto tali possono essere rifiutati dal paziente a norma dell’articolo 32 della Costituzione, e che se anche non esisteva attestazione formale della volontà della paziente, era sufficiente la ricostruzione della di lei volontà da parte del tutore legale (il padre) sottoposta all’esame dei giudici (senza contraddittorio, trattandosi di un caso di legislazione volontaria) per procedere all’interruzione dell’idratazione. Unica concessione per la condannata a morte: la sedazione con antidolorifici. Le asserzioni di Beppino Englaro e l’opinione di alcune società mediche assurta a dogma sono diventate le fondamenta di una sentenza “in nome del popolo italiano” che domani potrebbe essere usata per scardinare una legislazione approvata dal Parlamento (unico rappresentante autorizzato del popolo italiano) che non coincida con quanto opinato dalle Sezioni unite della Cassazione.Ma, dicevamo, gli exploit sono molto più numerosi di quanto si pensi. Novembre 2008: la quinta sezione penale della Cassazione annulla la sentenza con cui la Corte d’assise d’appello di Napoli ha condannato una madre rom per riduzione in stato di schiavitù del figlioletto di quattro anni, costretto ad elemosinare stando all’in piedi tutto il giorno anche d’inverno, sommariamente vestito. La Corte stabilisce che non si tratta di riduzione in stato di schiavitù ma di maltrattamenti, reato più lieve. Quel che fa venire i brividi sono le motivazioni: secondo i magistrati non si possono «criminalizzare condotte che rientrino nella tradizione culturale di un popolo». L’accattonaggio per «alcune comunità etniche costituisce una condizione di vita tradizionale molto radicata nella cultura». Di questo passo sarà ammessa la poligamia perché molti immigrati la praticano nei loro paesi in forza della tradizione e/o della religione; saranno tollerate le mutilazioni sessuali alle bambine perché decine di milioni di donne in Africa sono sottoposte a tale rito; si assolveranno i delitti d’onore come quello di cui fu vittima la pakistana Hina a Brescia perché la cultura di molte comunità di immigrati in Italia li permette e anzi li incoraggia.
Non è tutto. Luglio 2008. La Sesta sezione penale della Cassazione annulla la condanna a 1 anno e 4 mesi di un 44enne di Perugia trovato in possesso di un etto di marijuana. Motivo: bisogna essere tolleranti per rispettare la libertà religiosa dell’accusato, che è un rasta, cioè un adepto del rastafarianesimo. «Secondo le notizie relative alle caratteristiche comportamentali degli adepti di tale religione di origine ebraica», discettano con imperdonabile approssimazione i magistrati «la marijuana non è utilizzata solo come erba medicinale, ma anche come erba meditativa. Come tale possibile apportatrice dello stato psicofisico teso alla contemplazione nella preghiera, nel ricordo e nella credenza che l’erba sacra sia cresciuta sulla tomba di re Salomone, chiamato “il re saggio” e da esso ne tragga la forza». Dopo tale sentenza pare sia stata segnalata la nascita di una nuova religione in Italia: i suoi praticanti affermano di non poter pagare tasse se non alla divinità in persona, della quale attendono l’avvento in terra. Si rifiutano di pagarle a soggetti umani perché tale sacrilegio li condannerebbe all’inferno. Pare che il numero degli adepti stia rapidamente aumentando.Un’altra sentenza interessante sulla marijuana è datata gennaio 2009: la Cassazione annulla la condanna a 1 un anno e quattro mesi di un 44enne di Ancona scoperto a coltivare cannabis in un campo vicino a casa. Motivazione: le piante non erano ancora giunte a maturazione, dunque non contenevano alcaloidi dannosi, dunque non rappresentavano un pericolo per la salute pubblica. «L’intervento punitivo dello Stato», si legge nel dispositivo «deve esserci solo quando è concretamente minacciato il bene della salute. In caso contrario il giudice, guidato dai princìpi di ragionevolezza della pena in presenza di una condotta offensiva, deve chiedersi se possa esercitare il potere punitivo dello Stato, sacrificando la libertà personale, per tutelare il bene della salute, dinanzi a una offensività non ravvisabile neanche in grado minimo». Perciò, la prossima volta che la polizia coglierà in flagrante un terrorista che sta preparando una bomba, dovrà verificare prima di arrestarlo: se la bomba non è ancora pronta è innocua, dunque non c’è ancora pericolo per la salute pubblica.Si potrebbe continuare a lungo, ricordando la sentenza che ha stabilito che nella cifra dell’assegno di mantenimento al figlio non convivente il genitore separato deve comprendere anche il telefono cellulare e internet, quella che nega a un uomo la possibilità di disconoscere la paternità di un figlio accertata con l’esame del Dna se è trascorso più di un anno da quando ha appreso dell’infedeltà del coniuge, l’annullamento della sentenza di assoluzione dall’accusa di inquinamento ambientale per la Radio Vaticana, ecc. Ma la sentenza più creativa di tutte è senz’altro quella con cui, nell’ottobre 2008, la Cassazione ha respinto il ricorso della Germania contro la sentenza della Corte d’appello militare di Roma che ha condannato il governo tedesco a risarcire i parenti delle vittime di alcune stragi naziste. Con questa sentenza l’Italia diventa il primo paese al mondo a decidere che le vittime del nazismo vanno risarcite su base individuale. Passasse il principio, i parenti di 11 milioni di civili russi e di 5 milioni di polacchi caduti sotto il fuoco della Wermacht e delle SS potrebbero spennare la Germania. Ma anche libici, etiopici ed ex jugoslavi, vittime a migliaia della repressione italiana negli anni Trenta e Quaranta, potrebbero fare la festa al nostro bilancio dello Stato. Chissà che belle sentenze ci regalerebbe allora la Cassazione.
(Fonte: Rodolfo Casadei, Tempi, 23 febbraio 2009)
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