venerdì 20 febbraio 2009

Hanno ucciso Eluana Englaro. Lo spettacolo è finito, cala il sipario!

Chiuso. Finito. Si è girato pagina: nessuno più ne parla. Altre cose, serie o meno serie, come il Festival di San Remo, Il grande Fratello, le violenze sulle donne, gli arrivi clandestini, la tragicommedia veltroniana, polarizzano ora l’attenzione dei media. Ad Eluana Englaro nessuno dedica più una parola. Ma noi vogliamo chiudere questo caso nazionale con alcune considerazioni che valgono anche come valutazione complessiva dei vari comportamenti in questa dolorosa vicenda.
Il Comitato “Verità e Vita”, annunciando una denuncia alla Procura della Repubblica di Udine con l’ipotesi del reato di omicidio volontario nei confronti di Eluana Englaro, ha diramato questo comunicato, che volentieri rilanciamo, ritenendolo coerente con l’autentico pensiero cattolico: attribuire delle precise responsabilità a chicchessia, absit iniuria verbis, risponde semplicemente ad una logica “consecutio” da premesse fondamentali della nostra fede cristiana, e ad una razionale difesa dei suoi valori. L’amore per la verità e una inflessibile voglia di chiarezza ce lo impongono.
«Ci sono delle responsabilità penali, e toccherà alla magistratura accertarle. Ma vogliamo dire – con la nostra abituale schiettezza – che esiste anche una colpa morale, esiste una responsabilità che sfugge alle aule dei tribunali, ma che non può sottrarsi a un giudizio più profondo e decisivo.
Noi vogliamo dirlo forte: sono in molti ad avere sulla coscienza questo delitto.
L’uccisione di Eluana pesa innanzitutto sulla coscienza di suo padre Beppino, anche se fortissimi sono i condizionamenti che ha dovuto subire. Appare lui il principale artefice di questa infernale procedura, nella quale i padri vagano alla ricerca di un giudice che li autorizzi a togliere di mezzo i propri figli.
L’uccisione di Eluana pesa sulla coscienza di quegli avvocati che hanno abilmente difeso le ragioni della morte contro quelle della vita, continuando a conservare una cattedra come docenti in quella Università cattolica che fu fondata da Padre Agostino Gemelli, non certo per propagare in Italia il diritto a uccidere i malati per fame e per sete. L’uccisione di Eluana pesa sulla coscienza di quei magistrati che in questi anni hanno scritto decisioni di morte. O che non hanno impedito la consumazione del delitto. L’uccisione di Eluana pesa sulla coscienza di quei medici che, in spregio alla loro vocazione e alla deontologia ippocratica – hanno dichiarato ai mass media che “Eluana era già morta 17 anni fa”. L’uccisione di Eluana pesa sulla coscienza di quei politici che, in spregio al loro dovere di agire per il bene comune, hanno detto che si poteva lecitamente far morire per fame e per sete una donna inerme.
L’uccisione di Eluana pesa sulla coscienza di quegli altri politici “moderati”, che hanno spiegato che bisognava “abbassare i toni”. Come se, di fronte a uno che sta affogando nelle acque di un fiume, l’importante fosse non disturbare la quiete pubblica urlando con quanto fiato abbiamo in corpo “aiuto!”. L’uccisione di Eluana pesa sulla coscienza del Presidente della Camera Gianfranco Fini, che con le sue esternazioni si candida a raccogliere l’eredità politica non di Silvio Berlusconi, ma di Marco Pannella. L’uccisione di Eluana pesa sulla coscienza del senatore a vita Giulio Andreotti che, dopo aver firmato nel 1978 la legge 194 sull’aborto, in questa occasione ha parlato per dire che lo Stato non doveva intervenire per salvare Eluana. Ha parlato, e sarebbe stato meglio se avesse taciuto: non avrebbe aggiunto al computo tremendo dei 5 milioni di italiani uccisi dall’aborto di Stato un’altra vittima innocente.
L’uccisione di Eluana pesa sulla coscienza di tutti coloro che in questi mesi hanno riempito le nostre orecchie con il loro assordante silenzio: credenti e non credenti, intellettuali e gente comune, laici e vescovi, che – forse per codardia – hanno taciuto, abbandonando questa vittima muta al suo destino. L’uccisione di Eluana pesa – soprattutto – sulla coscienza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. È stato lui a rifiutarsi di firmare un decreto che avrebbe letteralmente salvato la vita di questa donna. Questione di due-tre giorni: i due-tre giorni che sono serviti per ucciderla.
Può darsi che, adesso, la grande macchina organizzata per togliere di mezzo Eluana si metta a fare baccano per impedire che si dicano queste verità. A noi la cosa non fa paura. Andremo avanti, e chiediamo a tutti di fare lo stesso. Perché non ci sia, mai più, un’altra Eluana ammazzata così».

(Fonte: CR, 13 febbraio 2009)

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