giovedì 5 febbraio 2009

Gli Ebrei, l'identità, l'olocausto

Nessuno che abbia il senso della decenza potrà accusare la Chiesa cattolica contemporanea di avere alimentato e fomentato l’antisemitismo. Noi siamo stati testimoni oculari e privilegiati di importantissime aperture e prese di posizione ufficiale, addirittura di gesti clamorosi nei confronti della comunità ebraica, compiuti dagli ultimi due Papi, che fisicamente sono entrati nei luoghi sacri agli ebrei e ne hanno condiviso la preghiera.
Noi sappiamo, checché se ne dica, che durante la barbarie fascista la Chiesa di Pio XI e Pio XII si è pronunciata contro le discriminazioni di razza e, quando era impossibile o inopportuno parlare, ha agito concretamente, nel silenzio e nella clandestinità, per difendere gli ebrei perseguitati. Pio XI, nell’allocuzione del 1938, ebbe a dichiarare: “Noi siamo spiritualmente semiti”. Nei campi di concentramento nazisti sono finiti anche preti, suore, religiosi cattolici. Poi sono venute le affermazioni del Concilio Vaticano II e il pontificato di Paolo VI. Fino alle recentissime e forti dichiarazioni di Benedetto XVI.
A fronte di tutto questo immane sforzo di accoglienza, riconciliazione e dialogo, lasciano veramente sbigottiti e indispettiti certe prese di posizione da parte delle autorità ebraiche. Ricordo, a titolo d’esempio, il malessere manifestato in occasione della santificazione da parte di Giovanni Paolo II di Edith Stein, ebrea convertita, poi fattasi carmelitana e infine morta in un lager nazista. Allora sembrò quasi che la Chiesa stesse mettendo in atto una provocazione. Oppure la recente polemica sulla figura di Pio XII, che si è manifestata con un giudizio di sicuro poco storico ed obiettivo, e in un’iniziativa pubblica (la famosa didascalia sotto la foto del Papa) che di certo non favoriva il dialogo.
Oggi si è andati a dare un peso davvero eccessivo alla tesi del vescovo tradizionalista Richard Williamson, il quale nega l’esistenza delle camere a gas e riduce l’Olocausto all’uccisione di soli, si fa per dire, 300.000 ebrei. Addirittura il Direttore generale del Gran Rabbinato d’Israele, Oded Wiener, ha minacciato di interrompere ogni rapporto con il Vaticano.
Ancora una volta certi esponenti del mondo ebraico si sentono in dovere di intervenire in vicende che sono interne alla Chiesa cattolica, in questo aiutati dalla stampa, sempre stranamente pronta a cogliere la palla al balzo per sbattere il Vaticano in prima pagina. Benedetto XVI riaccoglie nella comunione ecclesiale gli scomunicati seguaci di Lefevre? Non c’è nemmeno il tempo di festeggiare. Ecco che qualcuno va a ripescare le tesi del Williamson, tra l’altro nemmeno enunciate di recente. Seguono pretese richieste di scuse ed umili mea culpa: la Chiesa deve sempre accettare di stare dalla parte del torto. Ma ben venga anche questa umiliazione, se serve ad alimentare e rafforzare il dialogo e la fratellanza con gli ebrei.
La tesi che nega l’Olocausto è stupidamente antistorica, per vari motivi. Uno, perché l’Olocausto c’è stato, ed anche se non dovesse aver coinvolto cinque milioni di ebrei (cifra che forse sarà sovradimensionata), anche se, paradossalmente, ne avesse sterminati solo trecentomila, non cambierebbe la gravità e l’atrocità del fatto. Secondo, perché l’Olocausto è stata la logica conseguenza del Mein Kampf, e nessuno può far finta che in quel libro non ci sia una precisa strategia di sterminio degli ebrei. Terzo, perché l’uomo è capace di fare quello che ha fatto Hitler, e la storia del Novecento (ma anche quella più recente) è piena di casi simili se non peggiori (Lenin, Stalin, Mao, Pol Pot… hanno poco da invidiare al capo del Nazismo).
Detto questo, non si capisce perché impalcare una polemica tale, pubblica e mondiale, con una Chiesa che invece si distingue per il dialogo. Sembra un voler litigare a tutti i costi. Il caso Williamson poteva essere trattato con più discrezione, tatto e diplomazia, senza urli e sceneggiate.
Certo, è comprensibile che Israele, mentre si trova sotto i riflettori internazionali e viene addirittura accusata di una volontà di sterminio pari a quella di Hitler, voglia in qualche modo rimettere in sesto la propria immagine e, mentre offende, dichiararsi offesa.
Ma questa, signori, è politica, solo politica. E politica meschina, per giunta. Perché il ritorno dei lefreviani nella comunione cattolica non c’entra niente con le dichiarazioni di un vescovo che ha le sue idee strampalate e bislacche. E perché non è assolutamente fraterno e improntato a spirito di dialogo il modo con cui si è agito.
C’è poi un’ultima riflessione da fare, che riguarda gli ebrei e l’Olocausto. Ho la sensazione che l’identità ebraica, entrata gravemente in crisi dopo l’Illuminismo, oggi abbia bisogno della Shoah per ritrovarsi. Quando si parla di ebrei si parla di Olocausto, non più di Jahwèh, né della Torah. L’ebreo è diventato testimone, nel mondo, della sofferenza che gli è stata inflitta, non della salvezza portata agli uomini dal Dio che si è rivelato. Viene da chiedersi: cosa accadrebbe se per assurdo la ricerca storica, libera e indipendente, ridimensionasse pesantemente le persecuzioni naziste? Cosa ne sarebbe degli ebrei senza l’Olocausto? Su cosa poggerebbe la loro identità?
Questa mitizzazione, enfatizzazione, quasi sacralizzazione dell’Olocausto è un fenomeno nuovo. E’ un nuovo dogma che si aggiunge a quelli di Israele e che tende a diventare onnicomprensivo. L’identità di certi ebrei è costruita sull’antisemitismo, più che sull’appartenenza a Dio.
E questo è causa di ulteriori incomprensioni ed ulteriori difficoltà sulla via dell’incontro.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 3 febbraio 2009)

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